Gli investimenti realizzati in Italia nel settore idrico hanno raggiunto i 64 euro all’anno per abitante nel 2022, con una crescita del 94 per cento rispetto al 2012 (circa 33 euro per abitante), quanto è iniziata la regolazione Arera. E si stima una spesa di 70 euro per abitante nel 2023. Valori che si avvicinano alla media europea degli ultimi cinque anni (82 euro per abitante). Però non basta nel Paese che nel 2022, a livello nazionale, ha visto calare del 52 per cento la disponibilità idrica rispetto alla media dei settant’anni precedenti e dove la Sicilia è in piena crisi idrica. Il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha proposto di anticipare un piano straordinario da presentare entro aprile (e approvare entro giugno), in attesa che sia pronto il Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico (Pnissi). Alla vigilia della Giornata internazionale dell’acqua e pochi giorni dopo la seconda riunione della cabina di regia sulla siccità, parte proprio dal tema della carenza di acqua il Blue Book 2024 sul servizio idrico integrato, promosso da Utilitalia, realizzato dalla Fondazione Utilitatis e presentato insieme al Libro Bianco 2024 “Valore Acqua per l’Italia” di The European House-Ambrosetti, sulla filiera estesa dell’acqua. Secondo gli autori del Blue Book, realizzato in collaborazione con Istat, Enea, Anbi e le sette autorità di bacino dei distretti idrografici resta un profondo divario in termini di investimenti “tra le gestioni industriali e quelle comunali ‘in economia’, diffuse soprattutto al Sud”. Qui la media è di 11 euro per abitante.

Le fonti di acqua potabile – In Italia l’approvvigionamento idropotabile è garantito da circa 37.400 fonti, che forniscono un prelievo annuo di oltre 9 miliardi di metri cubi di acqua. I pozzi sono quella più diffusa (43 per cento dei comuni italiani), seguono le sorgenti (39 per cento) e, in misura minore, fonti come corsi d’acqua e bacini artificiali. “Considerando gli effetti dei cambiamenti climatici in corso – spiegano gli autori – è cruciale incentivare forme non convenzionali di approvvigionamento, come il riuso delle acque reflue urbane per irrigazione, processi produttivi e servizi ambientali. Tra i settori in cui è più urgente investire, dunque, c’è quello della depurazione delle acque reflue, che potrebbe contribuire tra il 38% ed il 53% al fabbisogno nazionale”.

La gestione delle risorse idriche – Oggi circa il 95 per cento della popolazione risiede in bacini dove l’affidamento è avvenuto seguendo la normativa vigente, ma Utilitalia ricorda alcune situazioni di criticità, in Campania e Sicilia dove, tra l’altro, è stato approvato lo stato di emergenza in sei province e dove dall’inizio dell’anno è iniziato un piano di razionamento dell’acqua che coinvolge quasi un milione di persone. L’83% della popolazione nazionale (48 milioni di italiani) è servita da un unico soggetto che gestisce il servizio integrato. Avviene in quasi 6mila Comuni. Sono invece 224 quelli in cui il servizio (frammentato) è gestito da almeno un operatore industriale diverso, per una popolazione complessiva di circa 2 milioni di abitanti (il 4% della popolazione nazionale). Almeno 1.465 Comuni, quasi tutti al Sud o nelle Isole, gestiscono direttamente almeno uno dei tre servizi tra acquedotto, fognatura e depurazione. Si tratta del 19% dei Comuni italiani, pari a circa 7,6 milioni di abitanti (il 13% del totale nazionale). Nei prossimi 5 anni andranno in scadenza le concessioni del servizio per oltre 14 milioni di abitanti. Per Utilitalia si potrà così superare la frammentazione gestionale “fondamentale – spiega il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – per incrementare gli investimenti nel settore idrico e migliorare gestione della risorsa e qualità del servizio”.

Gli investimenti e le perdite (ancora alte) – Il Blue Book racconta che negli ultimi anni si è assistito ad una crescita delle tariffe del servizio idrico di circa +5% annuo, ma il valore degli investimenti sostenuti con essa è aumentato fino a circa 4 miliardi l’anno. La recente modulazione del Pnrr ha permesso di stanziare circa un miliardo di euro in più, destinati alla riduzione delle perdite, oggi ancora elevate e mediamente pari a circa il 42% dell’acqua immessa in rete. Il settore, però, ha bisogno di “almeno 6 miliardi l’anno: serviranno dunque risorse aggiuntive pari a circa 0,9 miliardi di euro l’anno fino al 2026, e pari ad almeno 2 miliardi di euro l’anno dopo la chiusura del Pnrr, per innalzare l’indice di investimento annuo e raggiungere i 100 euro per abitante, avvicinandosi così alla media di altri Paesi europei di dimensione simile all’Italia”. Ma il settore idrico è anche altro: secondo gli ultimi dati del Libro Bianco 2024, la filiera idrica estesa genera valore per oltre 367 miliardi di euro, pari al 19% dell’intero Pil nazionale, un valore in crescita dell’8,7% rispetto al 2021. Ammonta a oltre 341 miliardi di euro (+9% sul 2021) il valore dell’impatto dell’acqua nei settori agricolo, industriale ed energetico, anche perché la fiera estesa coinvolge una vasta gamma di attività economiche, dalla produzione agricola alla manifattura idrovora, al settore energetico, toccando complessivamente 1,4 milioni di imprese agricole, circa 330mila aziende manifatturiere e 10mila imprese energetiche. L’impatto diretto, indiretto e indotto del settore porta un valore aggiunto di 16,5 miliardi di euro, attivando oltre 150mila posti di lavoro.

Caccia ai finanziamenti per le opere – Di frammentazione nella gestione, perdite e altre criticità si è parlato anche nei giorni scorsi, durante la seconda riunione della cabina di regia sulla siccità. Il commissario straordinario, Nicola Dell’Acqua, ha confermato che la frammentazione di competenze amministrative e gestionali peggiora la situazione della carenza idrica causata dai cambiamenti climatici. E se Utilitalia ricorda il ruolo dei sistema consortile e il Piano laghetti di Anbi e Coldiretti (10mila invasi medio-piccoli e multifunzionali in zone collinari e di pianura entro il 2030) che “necessita di adeguati investimenti strategici di risorse pubbliche, attualmente largamente insufficienti”, il tema delle risorse finanziarie è emerso anche durante la cabina di regia. È stata illustrata la prima analisi degli interventi presentati, a seguito del bando lanciato dal ministero delle Infrastrutture. Delle 773 proposte inserite a sistema, 562 sono quelle ammesse, per un totale di valore economico di oltre 13,5 miliardi di euro e con un cofinanziamento di 1,5 miliardi, prevalentemente da reti di distribuzione. Il ministero delle Infrastrutture vuole concludere a stretto giro la ricognizione delle risorse disponibili e degli interventi in corso. Ma per ora è stato approvato l’affidamento al commissario Dell’Acqua del coordinamento attuativo dei primi interventi finanziati per 102 milioni di euro, tra Piemonte, Lombardia, Veneto e Lazio. Tra le priorità del commissario, però, c’è quella di migliorare il funzionamento degli invasi già esistenti, “una parte dei quali è interrata, oppure non alla sua piena capacità”. Già nella sua prima relazione, infatti, aveva sottolineato che per gran parte dei grandi invasi (239 su 528), escluso il Distretto del Po dove ce ne sono 179, a fronte di una capacità potenziale di accumulo complessiva di circa 8 miliardi di metri cubi d’acqua, l’utilizzo è limitato a 6 miliardi di metri cubi, poiché si tratta di invasi non utilizzati affatto e, in parte, anche interrati per il progressivo accumulo di sedimenti che ne riduce la capacità.

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