Lo scorso 2 marzo la nave Humanity 1 della ong Sos Humanity ha soccorso 77 persone in tre operazioni, poi concluse due giorni dopo con lo sbarco a Crotone. Ma a quel punto alla nave è stato imposto il fermo amministrativo per non aver rispettato le indicazioni del centro per il soccorso marittimo della Libia, competente sui soccorsi in quel tratto di mare, e per aver creato “situazioni di pericolo durante le operazioni S.A.R., in quanto la presenza della Humanity 1, come specificato dal centro di soccorso libico, ha generato disordini e alcuni migranti si sono gettati in mare”, è scritto nel provvedimento di fermo, subito impugnato dalla ong con le avvocate Cristina Laura Cecchini e Giulia Crescini. Ora il tribunale di Crotone smentisce quella ricostruzione e sospende il fermo della nave.

La decisione del giudice di Crotone – “Ritenuto pertanto che l’apparente ingiustizia del provvedimento emesso giustifichi l’emissione di un provvedimento inaudita altera parte, sospende l’efficacia del provvedimento di fermo amministrativo e affidamento in custodia di “Humanity 1”, disposto dalla Capitaneria di Porto di Crotone, dalla Questura di Crotone e dalla Guardia di Finanza Sezione operativa navale di Crotone per venti giorni”, scrive il giudice Antonio Albenzio parla di “apparente ingiustizia“. La formula inaudita altera parte significa che il magistrato ha deciso di procedere sulla base del solo ricorso della Humanity, ritenendo “idonea” la documentazione. E infatti, in merito al provvedimenti di fermo il giudice parla di “travisamento dei fatti“, confermando anche il pericolo di danno grave cagionato dal fermo: “Evidente compromissione allo svolgimento di indifferibili attività a carattere umanitario“. La trattazione del caso è fissata in udienza per il 17 aprile, ma intanto la nave può riprendere il mare.

I fatti “travisati” – Al ricorso le avvocate Cecchini e Crescini hanno allegato tutta la documentazione che fin da subito la Humanity ha detto di avere, comprese le registrazioni radio e le immagini aree del Seabird 2, il velivolo della ong Sea Watch in perlustrazione nell’aera. Dopo un primo evento, in cui una motovedetta Libica ha minacciato di sparare nonostante la Humanity avesse eseguito ogni ordine, la ong risponde a un’altra segnalazione di pericolo che poi rivela tre barchini. Quando iniziano le operazioni di soccorso e i gommoni vengono messi in acqua, nell’area non c’è nessuna altra nave, documenta la ong che, nel frattempo, ha già avvisato del necessario intervento immediato le autorità: MRCC Roma, RCC Malta e JRCC Libia. I gommoni intanto confermano che i migranti stanno imbarcando acqua, distribuiscono giubbotti di salvataggio e iniziano a caricare le persone. Solo a quel punto la Humanity avvista un pattugliatore non identificato in avvicinamento.

I libici arrivano dopo e sparano – Solo a venti minuti dall’inizio delle operazioni arriva dunque la prima comunicazione radio dei libici, che si identificano come “Guardia costiera libica” e intimano alla Humanity 1 di allontanarsi. Ma il soccorso non può essere interrotto senza mettere in pericolo le persone e la Humanity è obbligata a terminarlo con tutte le persone in salvo. La comunicazione si ripeterà altre volte, con lo stesso esito. Poi i libici mettono in acqua un gommone che si avvicina a uno di quelli della ong, già impegnato coi migranti. L’equipaggio del gommone chiama la Humanity e comunica: ci minacciano con i fucili. E i fucili sparano, più colpi, ed è il panico. Il gommone della ong non può far altro che lasciare i migranti ai quali aveva già distribuito i giubbotti e allontanarsi. Intanto i libici prendono possesso del barchino e nella disperazione i migranti iniziano a gettarsi in acqua. E se la ong lancia giubbotti salvagente, i libici stavolta sparano in acqua. Anche Seabird 2, che intanto registra tutto, intima alla motovedetta libica di fermarsi, e la Humanity avverte il centro di soccorso marittimo in Libia per denunciare quanto sta accadendo. Ma la motovedetta intima ancora di allontanarsi. Con i gommoni recuperati e le poche persone imbarcate, Humaity comunica alla Libia che sta per allontanarsi, mentre ancora ci sono persone in acqua. Tra i soccorsi c’è chi riferisce di aver visto annegare una persona in seguito al panico causato dai libici.

Che importa delle prove? – Tutto riferito alle autorità, tutto registrato, tutto documentato. Ma l’Italia non ha badato a mettere in fila i fatti. Per le autorità italiane la Humanity ha violato i decreti del governo e non ha obbedito ai libici in zona SAR (search and rescue) libica, come si trattasse di un’area in cui è sospeso il diritto internazionali e le Convenzioni in materia di soccorso in mare. E all’arrivo a Crotone la Humanity subisce un nuovo fermo amministrativo di 20 giorni. Non è la prima volta, anzi, la ventiduesima, grazie alle norme introdotte dal governo. Sotto sequestro sono anche la Sea-Watch 5 e la Sea Eye 4, alla quale è stata applicata la reiterazione dell’illecito, cosa mai successa finora. Due mesi di fermo e il rischio di sequestro nel caso ricapitasse. Cosa? Di non obbedire ai libici. Come ha fatto la Humanity solo per mettere in salvo la vita del suo equipaggio, ancora in acqua sui gommoni. Intanto il Mediterraneo Centrale resta sguarnito e capita, come alla Ocean Viking, poi messa sotto processo a Brindisi per le stesse ragioni, di arrivare tardi e salvare solo chi ha resistito a una settimana alla deriva, alla fame e alla sete. La Ocean Viking venne poi sottoposta a fermo e quel fermo fu sospeso in via cautelare riconoscendo il valore costituzionale della sua attività umanitaria. Intanto nel fine settimana, come raccontato anche dal Fatto, ad essere vessato da una motovedetta donata alla Libia dall’Italia, è stato l’equipaggio della Geo Barents di Medici senza frontiere (video). I libici sono intervenuti quando era già in corso un’operazione di soccorso e parte dei migranti erano già sui gommoni. Nonostante la Cassazione abbia dichiarato reato la consegna ai libici dei migranti in mare perché la Libia non è un Paese sicuro dove possano essere ricondotti, nonostante i processi, compreso quello alla Iuventa, si siano sempre conclusi a favore delle ong, e nonostante i fermi amministrativi scricchiolino appena un giudice fa quanto previsto dall’ordinamento, questa rimane la situazione.

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