Juan Jesus mente. Oppure la toppa che si sta tentando di mettere sul caso Acerbi è peggiore del buco. Una toppa tipicamente italiana dove si fa un bel po’ di casino per confondere le acque, tra mille distinguo e mille interpretazioni diverse. Eppure i fatti come vengono fuori dalla partita di San Siro tra Inter e Napoli di domenica scorsa non lasciano che due versioni possibili: o Acerbi ha detto realmente “Vai via nero, sei solo un negro” come sostiene l’avversario e dunque rendendosi colpevole di offese razziste senza se e senza ma, oppure il difensore partenopeo Juan Jesus mente. Non ci sono altre strade, come quelle che pure si stanno tentando di intraprendere nelle ultime ore. Dai video della gara si vedono i calciatori strattonarsi in una situazione di calcio d’angolo e il difensore del Napoli Juan Jesus andare dall’arbitro La Penna a lamentarsi “così non mi sta bene”, indicando anche lo slogan sulla maglietta della giornata contro il razzismo: Acerbi poi si avvicina con fare amichevole a Juan Jesus scusandosi (forse indicando anche il compagno di squadra Thuram che passa di lì, ma potrebbe essere effetto di prospettiva), scuse che ribadisce anche Juan Jesus nel dopo partita, non riferendo l’esatta dinamica perché a suo dire la questione si era risolta con le scuse.

Il giorno dopo con Acerbi in nazionale si fa strada però un’altra versione, quella del “non c’è razzismo”: Federico Pastorello, agente del giocatore, dice che non c’è mai stato razzismo, idem il ct dell’Italia Luciano Spalletti quando parla dell’allontanamento del calciatore dal ritiro della nazionale, versione poi confermata dallo stesso Acerbi quando di rientro dal ritiro di Roma dice che “nessuna parola di quel tipo è mai uscita dalla mia bocca. Sono sicuro di quel che ho detto: secondo me ha frainteso”. A quel punto Juan Jesus che davanti alle telecamere di Dazn aveva liquidato la vicenda a “cose di campo”, accettando le scuse di Acerbi, torna a intervenire con un messaggio social spiegando: “Così non ci sto, mi ha detto vai via nero, sei solo un negro, poi ha ammesso di aver sbagliato e mi ha chiesto scusa, aggiungendo anche che per lui ‘negro’ è un insulto come un altro”. Buttarla nella caciara del “fraintendimento”, del “ma no, ha capito male, io gli ho detto sei scemo/sei zero/sei un pero/sei un cedro” (e allora scusarsi di che?) appare abbastanza risibile come pure eventualmente appellarsi a una g in meno o in più.

E dunque o Juan Jesus mente in maniera meschina, accusando in modo falso e subdolo un collega di qualcosa di odioso e molto grave e che potrebbe provocargli una lunga squalifica e un importante danno d’immagine con tutto ciò che ne consegue. Oppure la toppa del “non c’è razzismo” è assai peggiore del buco. Lo è perché dire “negro” è razzismo e basta: non c’è alcun salvagente che renda accettabile una parola spregiativa, che non può avere alcuna pretesa di neutralità né tantomeno un eventuale utilizzo “bonario”, o decontestualizzato (“per me è un insulto come un altro”). Se il razzismo si combatte a partire dall’utilizzo della parole, e le parole sono importanti, il pasticcio l’aveva risolto lo stesso Acerbi chiedendo scusa: si sarebbe risolto ancor meglio accettandone le conseguenze.

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