Una guerra che ha fatto oltre 500mila vittime e prodotto circa 16milioni di profughi. Sono questi i risultati del conflitto siriano, entrato ufficialmente nel suo 13esimo anno. Era infatti il 15 marzo del 2011 quando, sull’onda delle primavere arabe, le proteste della popolazione dilagarono in tutto il Paese chiedendo l’avvio di una transizione democratica e la fine della dittatura quarantennale della famiglia al-Assad al potere dal 1970.

Dopo oltre un decennio di guerra, la Siria è profondamente mutata, anche geograficamente. È ormai suddivisa in zone controllate da diverse potenze regionali e internazionali, intervenute nel conflitto a sostegno di una o dell’altra parte. Come la Russia che, ormai dal 2015, ha un contingente militare ufficialmente stanziato in Siria a sostegno del governo di Bashar al-Assad. O gli Stati Uniti, anche loro presenti nel Paese a supporto delle milizie curde che hanno preso il controllo delle regioni di Raqqa e Qamishli. Fra gli Stati mediorientali, quelli che hanno messo gli scarponi sul terreno sono: la Turchia, nel nord del Paese, attraverso milizie siriane fedeli a Istanbul. E l’Iran, alleato di Damasco, che da anni invia soldati e un fiume di dollari.

Oggi “la Siria ha un’intera generazione che ha assistito solo alla perdita, la fuga, la guerra. Non conoscono altro se non questo” riflette da Damasco Suhair Zakkout, portavoce del comitato internazionale della Croce Rossa. Questo conflitto, continua il portavoce, “ha avuto conseguenze devastanti” causando nei siriani “un dolore inimmaginabile”.

A essere invece chiari sono i numeri. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede in Gran Bretagna, ha quantificato in mezzo milione il numero delle vittime prodotte nell’arco di questi 13 anni. I civili morti, secondo la stima dell’organizzazione siriana, sono 164.000, tra cui più di 15.000 donne e 25.000 bambini. Oltre 343.000 sono invece i caduti fra i combattenti dei vari schieramenti in campo. La maggior parte di queste morti, spiega il rapporto, sono state provocate dal governo di Damasco.

Ma nonostante la responsabilità e le cifre delle vittime parlino chiaro, il presidente Bashar al-Assad continua a portare avanti un’opera di normalizzazione delle relazioni con la comunità internazionale. Da un anno, infatti, la Lega Araba ha riammesso al suo interno il governo di Damasco dopo una sospensione durata quasi un decennio. Anche in Occidente il dittatore siriano gode di simpatie. Nel dicembre 2018, Giorgia Meloni, non ancora a capo del governo, aveva dichiarato che “se in Siria è ancora possibile fare i presepi” ciò è “grazie ad Assad e le milizie libanesi di Hezbollah”. Ma proprio il partito milizia libanese è stato accusato di crimini di guerra in Siria. In Germania, nel dicembre scorso, un cittadino siriano, Ammar A, è stato arrestato con l’accusa di aver commesso crimini contro l’umanità in Siria mentre combatteva nei ranghi dell’organizzazione guidata da Hassan Nasrallah.

A pagare il prezzo di questa guerra infinita sono 16,7 milioni di persone che, secondo le Nazioni Unite, quest’anno necessiteranno di qualche tipo di assistenza o protezione umanitaria. Questo numero, riferisce l’Onu, è “il più alto dall’inizio della crisi nel 2011”. Per questo le organizzazioni umanitarie stanno lavorando nel tentativo di “garantire il livello minimo dei servizi di base” come l’acqua e la sanità in modo che “non crollino”, ha ribadito Zakkout.

Ma a rimanere senza via d’uscita pare essere la situazione politica. A febbraio è infatti arrivato il no di Mosca e Damasco a tenere nuovi colloqui a Ginevra, sede dei precedenti negoziati fra opposizione e regime siriano. Questa mancanza di volontà, spiegano vari analisti, può essere dettata dalla sicurezza di vincere la partita per sfinimento. Mentre milioni di persone cercano di sopravvivere alla giornata.

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