C’è una caduta di tensione nella lotta alla mafia. Un calo di attenzione che sul territorio equivale alla scomparsa delle associazioni antiracket. L’allarme arriva dalla commissione Antimafia dell’Assemblea regionale siciliana. “C’è un preoccupante sfilacciamento del tessuto sociale che, invece, sull’onda emotiva successiva alle stragi di mafia si era schierato contro lo strapotere delle mafie. Una caduta della tensione che si è tradotta in un sentimento di indifferenza e ha determinato l’assenza di associazioni antiracket in alcune province siciliane o la loro cancellazione per inattività, riducendo la loro funzione, in alcuni casi, alla mera assistenza legale della vittima di estorsione senza che ciò si traduca in una attività di prevenzione e sensibilizzazione contro il racket”, ha detto il presidente Antonello Cracolici, esponente del Pd, illustrando il primo report prodotto dalla sua commissione.

In totale sono trenta le associazioni antiracket registrate nell’Isola, 31 se si considera quella in attesa di iscrizione a Ragusa, dove, nel 2021, ben tre associazioni sono state cancellate per inattività. Nella provincia di Agrigento, invece, non risulta alcuna associazione iscritta all’albo prefettizio. E mentre le associazioni mollano la presa, Cosa nostra sta tornando a chiedere il pizzo a tappeto. Il rapporto dell’Antimafia, infatti, documenta un minore capacità di reazione del sistema imprenditoriale siciliano: non solo diminuiscono le denunce ma addirittura aumentano i casi in cui è l’imprenditore o il commerciante a cercare, di sua sponte, la protezione dei clan per la cosiddetta “messa a posto“. “Lo Stato e le istituzioni ci sono, la società civile però si è fatta più silente. Lo vediamo dal numero in aumento di imprenditori che spontaneamente cercano i clan mafiosi per mettersi a posto, dall’assenza in alcune province delle associazioni antiracket o da nuove forme di raccolta del pizzo, attraverso forniture o servizi. La nostra azione si concentra su come la società si attrezza per contrastare Cosa nostra, per questo stiamo puntando a una sorta di Stati generali dell’antiracket per aumentare la sensibilizzazione. Ma la lotta si fa anche sul piano della reputazione, i boss vanno isolati e deve crescere la consapevolezza che comprare droga significa finanziare la mafia”, ha continuato Cracolici.

La commissione ha operato una vera a propria mappatura dei clan in Sicilia, sentendo 302 amministratori locali dei 391 comuni dell’Isola. I commissari hanno percorso quasi tremila i chilometri per incontrare prefetti, 19 capi delle procure, 4 magistrati antimafia, questori, i comandanti provinciali della Guardia di Finanza e dei Carabinieri, nonché i vertici delle Direzioni investigative antimafia delle singole province. Il risultato di queste audizioni porta Cracolici a tratteggiare una mafia capace di infiltrarsi sempre più nell’economia legale e in grado di stringere alleanze per competere con le organizzazioni criminali straniere.

Emerge poi una sempre più diffusa circolazione di armi, specialmente nell’Agrigentino e nel Siracusano, criticità legate al tema degli appalti, e un’insicurezza diffusa nei territori urbani, lamentata dai sindaci, che chiedono l’installazione di telecamere. “La commissione Antimafia chiederà al governo regionale – ha detto il suo presidente – di estendere a tutti i territori, in particolare a quelli in dissesto economico, le tecnologie utili a tutela della sicurezza e della legalità”. Altro tema strategico è il riutilizzo dei beni confiscati. “Deve essere rilanciato il riuso sociale – ha detto Cracolici – la Regione può, attraverso l’Irfis, dare un concreto supporto alle aziende confiscate, garantendo un accesso al credito agevolato. Su questo fronte si gioca il prestigio dello Stato”.

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