Dopo 34 anni ci sono altri due condannati per l’omicidio di Umberto Mormile, educatore nel carcere di Opera, ucciso dalla ‘ndrangheta nelle campagne di Carpiano, in provincia di Milano, l’11 aprile del 1990. Alla fine di un processo celebrato col rito abbreviato la gup Marta Pollicino ha condannato a 7 anni di reclusione due collaboratori di giustizia, Salvatore Pace e Vittorio Foschini, finiti imputati in seguito alla riapertura delle indagini chiesta dai familiari di Mormile – fratello, sorella e figlia – rappresentati dal legale Fabio Repici. Il giudice, come chiesto dai pm, ha riconosciuto le attenuanti generiche e quella speciale della collaborazione per i due, che con le loro dichiarazioni sull’omicidio hanno aperto anche uno scenario che collega l’omicidio Mormile ai legami tra la ‘ndrangheta e i servizi.

Mormile, 34 anni, venne assassinato l’11 aprile del 1990 mentre andava al lavoro: venne avvicinato da due individui in sella a una moto di grossa cilindrata e crivellato da sei colpi di pistola. Per questo omicidio erano già stati condannati nel 2005 come mandanti i boss della ‘ndrangheta Antonio Papalia e Franco Coco Trovato e come esecutori materiali Antonio Schettini e Antonino Cuzzola. Nel 2011, con altro verdetto definitivo, anche Domenico Papalia, anche lui mandante. L’aggiunto della Dda milanese Alessandra Dolci e il pm Stefano Ammendola avevano chiesto il rinvio a giudizio anche per Pace, 66 anni, e Foschini, 63 anni, per concorso nell’omicidio aggravato dalla finalità mafiosa. E questo dopo che un giudice aveva rigettato la richiesta di archiviazione accogliendo l’opposizione dell’avvocato di parte civile.

Nella denuncia presentata in procura nel 2018 dall’avvocato Repici, Schettini viene indicato come “protagonista di un depistaggio”. Dopo aver portato a processo Antonio Papalia, scelse il giudizio abbreviato, mentre nel processo ordinario si avvalse della facoltà di non rispondere. Cuzzola, invece, legò il movente dell’esecuzione “alla volontà di Domenico Papalia di sopprimere colui che nel penitenziario di Parma era stato testimone di propri incontri abusivi con i servizi segreti”. In effetti già nel 2006 la procura di Reggio Calabria aveva ricostruito le relazioni tra Domenico Papalia e appartenenti ai servizi segreti. E’ nel processo ‘Ndrangheta stragista, invece, che il pentito Foschini ha dato una versione di quello che potrebbe essere il vero movente dell’omicidio Mormile: “Fu ucciso per l’allusione sui rapporti Servizi-Papalia. Papalia disse che Mormile andava ucciso, precisò che bisognava parlare con i servizi visto che non si doveva sospettare di loro (cioè dei Papalia). Ne seguì che Antonio Papalia, come ci disse, parlò con i servizi che, dando il nulla osta all’omicidio Mormile, si raccomandarono di rivendicarlo con una sigla terroristica che loro stessi indicarono”. Quella sigla era la Falange Armata, la firma del terrore che ha rivendicato tutte le stragi di mafia del 1992 e 1993. Ma che era nata prima nel nord Italia.

L’esordio della Falange Armata, infatti, avviene proprio per rivendicare l’omicidio Mormile, anche se all’epoca la voce che chiama all’Ansa di Bologna si firma come “Falange Armata Carceraria“. In seguito quell’oscura sigla sarà utilizzata per rivendicare i vari delitti compiuti dalla Banda della Uno Bianca in Emilia Romagna e infine comparirà in Sicilia, a Enna, dove nell’inverno del 1991 Totò Riina raduna i suoi generali per pianificare le stragi della primavera successiva. Il capo dei capi ordina ai suoi di rivendicare gli omicidi con quell’oscura sigla, Falange Armata: e in effetti sarà così che saranno firmate le eliminazioni di Salvo Lima, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma chi è che la suggerisce a Riina? Al momento non è dato sapere.

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“In Sicilia c’è una caduta di tensione nella lotta alla mafia, le associazioni antiracket scompaiono e la società civile è più silente”

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