Sud chiama Nord. L’autonomia differenziata colpirà tutti/e coloro che considerano ciò che è pubblico destinato a realizzare un Paese più uguale, che fornisca pari opportunità ovunque si risieda, soprattutto sui diritti universali.

Lo scorso 24 febbraio, alla Camera del Lavoro di Milano, i comitati Per il ritiro di ogni autonomia differenziata, l’unità della Repubblica, l’uguaglianza dei diritti e il Tavolo NOAD hanno organizzato una bella iniziativa dal titolo “L’autonomia differenziata fa male anche al Nord” (qui il video). Si è discusso di contratti, privatizzazioni, impatto dell’autonomia differenziata sulle vite di cittadine/i, lavoratrici e lavoratori che – allettati da una propaganda falsa – potrebbero indulgere all’idea che il processo eversivo che il governo sta mettendo in campo possa recar loro qualche vantaggio. In più di 5 anni di lotta incessante contro la cosiddetta “secessione dei ricchi”, i comitati non hanno mai pensato che essa possa colpire – come indubbiamente farà – solo il Sud.

Lo ius domicilii, che verrà istituzionalizzato quando e se l’autonomia differenziata diventerà legge, colpirà tutti, ovunque risiedano. Basti pensare alla privatizzazione dei pronto soccorso: lo abbiamo già dimenticato?

Ogni territorio, anche al Nord estremo, ha un proprio Sud. E’ il Sud della precarietà, delle difficoltà economiche, della marginalità, ovunque esse esistano. E’ il Sud dei diritti non garantiti, della disattenzione diffusa per il rispetto del principio di uguaglianza e di quanto è compito della Repubblica mettere in campo per garantirlo. L’autonomia differenziata liquida definitivamente tutto ciò che è “pubblico”, cioè finalizzato all’interesse generale, destinato a diminuire le differenze tra ricchi e poveri. Quindi non tra Nord e Sud, ma tra ricchi e poveri, ovunque la povertà risieda in questo Paese. E’ una famelica rincorsa alla privatizzazione, all’arricchimento e al privilegio di pochi, sottraendo a tutti gli altri diritti e relegandoli in una ulteriore marginalità. La creazione di una cornice normativa differenziata – “più complessa e disomogenea”, come ha affermato la Banca d’Italia – su base regionale rallenterà investimenti e capacità delle imprese più piccole di far fronte ad un mosaico di leggi per chi operi produttivamente su più regioni, con un aumento esponenziale di costi amministrativi ed economici, cui difficilmente potranno far fronte.

L’arretramento ulteriore del Sud (cui non si garantiscono nemmeno i Lep, Livelli Essenziali di Prestazione) non potrà che riverberarsi sulle regioni del Nord; la capacità contrattuale dei sedicenti governatori non potrà in alcun modo fronteggiare la concorrenza dei Paesi più sviluppati, e il peso politico che ciascuno potrà rivendicare. I contratti collettivi verranno affiancati da contratti regionali: parti diverse tra eguali. A prescindere dal tema delle gabbie salariali – un evergreen attualmente rivendicato da più parti -, l’esperienza della provincia autonoma di Trento, almeno nella scuola, ci ammonisce a guardarci dalla promessa di aumenti salariali e a guardare al contratto nella sua interezza, come dispositivo di diritti ma anche di doveri. Crescono poco i salari; ma, nel complesso, aumenta esponenzialmente la messa in causa di diritti fondamentali – come la libertà di insegnamento – e la pressione, la richiesta di produttività, efficientismo, competitività e competizione.

I Comuni – gli unici realmente titolati alla determinazione dei Lep, come articolazioni della Repubblica più vicine ai cittadini e alle cittadine, maggiormente in grado di recepire richieste, bisogni, criticità (è per questo che da anni ci battiamo per un dibattito pubblico in questo senso, affossato dalla scelta di una cabina di regia di nomina governativa e dalla Clep) – diventeranno definitivamente subordinati alla discrezionalità regionale. E’ davvero questo che vogliono i cittadini e le cittadine del Nord? Affossare definitivamente la speranza di una società più giusta e più equa, per tentare la corsa solitaria verso un obiettivo non meglio identificato, certamente però coincidente con la gestione autocratica del potere da parte di uomini soli al comando, evidentemente convinti di fare carta straccia di fondamentali principi costituzionali, uguaglianza, solidarietà, autonomia nel perimetro invalicabile della Repubblica, una e indivisibile?

Oggi siamo davanti ad un altro importante appuntamento, legato inscindibilmente con l’iniziativa milanese.

Il 16 marzo a Napoli, con un concentramento a Piazza Garibaldi, alle 14,30, partirà un corteo alla volta di Piazza Plebiscito, dove la manifestazione terminerà. Sindacati, partiti politici, associazioni, comitati, lotte locali hanno dato aderito in tantissimi. In un nesso inscindibile con quanto abbiamo fatto al Nord solo poche settimane fa, saremo a Napoli, tutti/e insieme, al grido di “Nun ce scassate ‘o paese”. Al ministro Calderoli, che in settimana ha tuonato contro i “professoroni” (il termine già usato da Boschi per denigrare i costituzionalisti che si opponevano al progetto renziano di riforma della Costituzione, bocciato nel 2016), che gli stanno spiegando in audizioni alcune cose che non vuole sentirsi dire sul suo ddl 615, risponderemo con una manifestazione pacifica, colorata, partecipata. Il contrasto all’autonomia differenziata non può attendere. Siamo alle battute finali del percorso parlamentare; e dopo sarà tutto più difficile.

Il ministro non ha ascoltato le voci dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, della Confindustria, della Banca d’Italia, della Commissione Europea, che hanno – da diversi punti di vista e con toni differenti – rappresentato le gravi conseguenze che l’autonomia differenziata provocherà al bilancio dello Stato e al Paese intero. Non ha ascoltato nemmeno la CEI, che – ormai quotidianamente – interviene a proposito. Qualsiasi siano le iniziative che si vorranno prendere quando e se il ddl Calderoli dovesse passare alla Camera – vuoi il ricorso all’istituto referendario, vuoi il ricorso in Corte Costituzionale di un Presidente di Regione – è evidente che esse avranno senso e forza se a spingerle ci sarà un grande sostegno popolare: occorre che quella contro l’ad diventi una campagna di massa, là dove ancora pochi/e ne conoscono l’impatto drammatico. Per questo la manifestazione di Napoli assume un’importanza particolare.

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