“Le divise danno i numeri, diamo i numeri alle divise, fuori la polizia dalla Diaz“. Con questi striscioni, ieri mattina, gli studenti del collettivo del liceo Pertini di Genova hanno accolto le due persone arrivate (in abiti civili) per presentare a quattro classi le prospettive professionali e formative offerte dalle forze armate e dalla polizia di Stato. La protesta degli studenti muove dalle recenti polemiche sul roteare disinvolto dei manganelli sulle teste degli studenti a Pisa, ma acquista un significato in più di fronte all’edificio scolastico genovese sulla cui facciata si legge ancora la vecchia denominazione: “Scuole Diaz”. L’ultima volta che degli agenti in divisa sono entrati in quella scuola è stata la notte del 21 luglio 2001, il giorno dopo l’uccisione in piazza di Carlo Giuliani, nei giorni caldi delle proteste contro il G8 di Genova.

In quel caso non fu per un “incontro di orientamento”, ma per qualcosa che in tribunale venne descritta dai testimoni come una rappresaglia, un’irruzione finalizzata al pestaggio degli attivisti che si trovavano a dormire al suo interno. Delle 93 persone ospitate alla Diaz, a seguito del raid, tre finirono in prognosi riservata, 63 in ospedale. A distanza di 23 anni, quanto successo non è mai stato ripudiato, mentre reiterate promozioni lasciano adito al dubbio che certe pratiche, per quanto fuori da ogni criterio democratico e ritenute illegittime anche dalle sentenze dei tribunale, “restino nella disponibilità delle forze dell’ordine”. Di qui una certa diffidenza nei confronti delle divise ereditata dagli studenti che frequentano quelle aule: “Anche la scuola sta diventando terreno di conquista di un’ideologia militarista – scrivono i ragazzi del collettivo sulla loro pagina Instagram – nella nostra scuola si è tenuto un incontro di orientamento con le forze armate, volto a descrivere le prospettive di studio e di lavoro all’interno di esse. Ci opponiamo a questo sistema scolastico vizioso e immorale, rifiutando questa iniziativa. Al contempo vogliamo promuovere un modello di educazione mirata alla conversione degli ambienti scolastici in luoghi di pace e accoglienza, dove coltivare pensiero critico”.

Di fatto, la protesta pacifica si è limitata all’espressione del proprio dissenso con volantini e striscioni, mentre l’incontro di ieri si è tenuto senza nessun problema: “I lenzuoli sono rimasti appesi alle inferriate della scuola appena il tempo necessario a fotografarli, intorno alle 7.30 – spiegano alcuni ragazzi all’uscita da scuola – dal momento che il personale scolastico è intervenuto immediatamente per intimarci di rimuoverli”. L’incontro di “orientamento formativo” è durato circa un’ora e mezza e ha riguardato solo 4 classi delle 67 del Pertini: “Si parla di un singolo incontro nell’ambito delle 30 ore di orientamento obbligatorio che ogni scuola può decidere come fare – spiega il dirigente scolastico Alessandro Cavanna, stupito dal clamore sollevato dal caso – Sono i singoli consigli di classe a decidere come organizzare queste attività”. In questo caso, l’organizzazione degli incontri era stata affidata ad “AssOrienta”, tra gli enti che si occupano di offrire opportunità di orientamento al mondo del lavoro”. Alessandro Cavanna è consapevole della delicatezza e responsabilità che comporta la gestione della scuola ospitata nell’edificio di quella che, in sede di processo, venne definita “macelleria messicana”, ma proprio per questo ricorda al Fatto che “in questi anni è stato fatto un importante lavoro di ricucitura e ricomposizione. Credo sia importante risanare questa ferita che si era creata nella fiducia con le forze dell’ordine. Anche per questo, penso che gli studenti prima di protestare avrebbero potuto chiedere delucidazioni e spiegazioni”.

Mentre parla al cellulare col fatto.it, il dirigente scolastico viene interrotto dalla chiamata della Questura. Anche da lì cercano maggiori informazioni sui fatti di ieri. “È importante ricondurre le cose alla loro giusta proporzione: si è trattato di una iniziativa pacifica della durata totale di cinque minuti, che non ha in alcun modo inficiato lo svolgimento dell’attività prevista”. Se non fosse per un articolo uscito in mattinata, il dirigente confessa che non era stato neanche avvertito dell’episodio, che davanti al Pertini/Diaz tutti riconducono a un’espressione democratica e pacifica di dissenso, normale in una città che non dimentica quella che Amnesty ha definito “la più grande sospensione dei diritti democratici in Europa dopo la seconda guerra mondiale”. Non a caso sempre a Genova, nei giorni scorsi, in occasione della visita del ministro Piantedosi, erano stati gli studenti del liceo classico Colombo a esporre uno striscione con il quale si chiedeva l’inserimento dei codici identificativi per gli agenti impegnati in operazione di ordine pubblico: “Non pulite questo sangue”, era stato scritto sui muri della scuola nei giorni precedenti l’irruzione alla Diaz. A distanza dei 23 anni il sangue sui muri è stato pulito, ma resta la memoria di fatti che sono accaduti e, scrivono questi studenti sui loro canali “dobbiamo continuare a manifestare per chiedere garanzie affinché non accadano più“.

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