di Enrica Sabatini*

Ha fatto storia il saggio di Daniel Kahneman – Premio Nobel dell’Economia – dal titolo Prima di prendere quella decisione così importante… in cui affronta una delle criticità più rilevanti per le aziende: in che modo un dirigente che deve assumere una decisione strategica può essere condizionato dai pregiudizi del suo team?

Citando uno studio di McKinsey su oltre mille grandi operazioni di investimento, lo psicologo israeliano sottolinea come ridurre l’effetto del pregiudizio nei processi decisionali possa portare a ritorni aziendali fino al 7% più elevati e, in questa direzione, propone un approccio pratico – un controllo qualità – basato su una checklist di 12 domande da rivolgere al decisore e al team per identificare e correggere eventuali difetti di ragionamento.

A più di un decennio dall’articolo, la domanda sorge spontanea: possiamo oggi immaginare metodi decisionali per “impedire a priori” i meccanismi distorti segnalati da Kahneman?

Negli ultimi anni si è particolarmente diffuso, per l’efficacia e la solidità dimostrata, un metodo molto interessante: il Debate. In estrema sintesi, si tratta di un momento di confronto tra posizioni incompatibili su uno stesso tema durante il quale due squadre – una a favore e una contro – devono convincere, con argomentazioni strutturate e tempistiche ben definite, una giuria circa la validità o preferibilità della propria posizione rispetto all’avversario.

Questa metodologia, utilizzata e diffusa in ambito educativo tanto da essere una disciplina curriculare nelle scuole nei paesi anglofoni, rappresenta un’opportunità interessante anche per aziende che vogliono migliorare la validità dei propri processi decisionali. La struttura regolamentata del Debate, infatti, è assolutamente funzionale a impedire/prevenire le 12 distorsioni individuate da Daniel Kahneman nel corso dei processi decisionali.

Un primo elemento di forza è che il Debate, prevedendo due squadre in opposizione, utilizza il dissenso come elemento produttivo nel processo decisionale. La presenza di un conflitto regolamentato elimina il meccanismo di pensiero di gruppo in cui, per ridurre le conflittualità, i team tendono a convergere verso una posizione unitaria ma di facciata, soffocando il dissenso necessario per una corretta analisi della proposta.

Un secondo elemento è che il confronto tra squadre nel Debate, al fine di convincere la giuria, porta a presentare molteplici e approfonditi casi, scenari o analogie a supporto delle due tesi e a stimolare così, per natura, narrazioni coerenti ma opposte sulla base dei dati presentati.

Queste caratteristiche risultano assolutamente funzionali per il decision-maker, supportandolo in un’analisi rigorosa meno soggetta a quelle distorsioni che K. ritiene pericolose come il pregiudizio di rilevanza (basarsi su un singolo caso di successo del passato con conclusioni erronee), l’eccesso di fiducia (fare previsioni eccessivamente ottimistiche), l’esclusione dell’ipotesi disastrosa (presentare scenari negativi solitamente non così negativi come potrebbero essere in realtà), ma anche il pregiudizio della disponibilità (pensare che “ciò che si vede sia tutto quello che deve essere visto”).

Un terzo aspetto è legato all’utilizzo delle confutazioni nel Debate, ossia alla possibilità di ogni squadra di porre domande alla squadra avversaria chiedendo conto, per esempio, di dati o numeri. Questa interazione obbligatoria determina una continua ri-focalizzazione dei dati presentati (contro il pregiudizio di eccessiva focalizzazione) e una messa in discussione di collegamenti o paragoni non corretti (contro effetto alone).

Quarto elemento di forza è sicuramente il meccanismo di sorteggio attraverso cui i Debater vengono assegnati alla posizione contro o a favore. Chi è chiamato a difendere una posizione non è necessariamente d’accordo con quella posizione e ciò evita condizionamenti legati all’euristica dell’affetto (ossia innamorarsi della propria posizione, minimizzando rischi ed esagerando benefici).

Infine, quinto e rilevante vantaggio del Debate è la possibilità di inserire tra i debater soggetti esterni all’organizzazione/azienda, consentendo di ridurre le distorsioni legate alla storia pregressa dell’organizzazione (effetto costi sommersi), all’interesse personale (pregiudizi interessati) o da modalità conservative (avversione alle perdite).

Per queste motivazioni con Camelotbenefit corporation specializzata in dibattiti e voti digitali legalmente riconosciuti – abbiamo deciso di progettare una architettura digitale per realizzare dibattiti in modo lineare e coerente e per rilevare, grazie all’intelligenza artificiale, i bias cognitivi presenti nelle argomentazioni e nelle confutazioni durante il dibattito suggerendo le strategie per superarli.

L’obiettivo è fornire un supporto indispensabile per assumere decisioni oggettive, ma anche e soprattutto per rendere consapevoli, come sostiene K., i decisori e i dirigenti delle pericolose distorsioni che possono danneggiare i ragionamenti di business.

Come conclude infatti lo stesso premio Nobel, le organizzazioni devono accettare il principio che anche i manager molto esperti, ben intenzionati e straordinariamente competenti, possono fallire, e che la chiave per una strategia efficace è avviare processi decisionali disciplinati e non frutto di un genio individuale, in una cultura di dibattito aperto. E il Debate e l’AI possono essere straordinari alleati per farlo.

*Co-founder @Camelot SB, Ph.D. in Scienze. Specializzata nell’analisi dei processi cognitivi nell’interazione individui-tecnologia e in architetture di dibattito e voto digitale.

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