Paura, ansia, carenza di cibo, iper-vigilanza e problemi di sonno, un’alternanza nello stile di attaccamento ai genitori, regressione e aggressività. È questo il vivere quotidiano dei bambini di Gaza dopo cinque mesi di violenza, sfollamento, malnutrizione e malattie, che si aggiungono agli oltre 16 anni di blocco da parte di Israele verso la Striscia. Tutti elementi che hanno avuto impatto psicologico che Save the Children definisce “devastante” in una ricerca. Il disagio emotivo di schivare bombe e proiettili, la paura di perdere i propri cari, di essere costretti a fuggire attraverso strade disseminate di detriti e cadaveri e di svegliarsi ogni mattina senza sapere se riusciranno a mangiare hanno aggravato la situazione rendendo gli adulti di riferimento sempre più incapaci di affrontare la situazione. Il sostegno, i servizi e gli strumenti di cui hanno bisogno per prendersi cura dei loro figli – secondo la ricerca – sono sempre meno. E proprio genitori e care giver hanno dichiarato all’organizzazione che la capacità dei bambini di immaginare un futuro senza guerra è ormai praticamente scomparsa. Una condizione nella quale si trovano, comunque, i bambini della Striscia più fortunati. Perché come spiega il commissario generale dell’Agenzia Onu per i profughi palestinesi (Unrwa), Philippe Lazzarini, “il numero di bambini uccisi in poco più di 4 mesi a Gaza è superiore al numero di bambini uccisi in 4 anni di guerre in tutto il mondo. Questa guerra è una guerra contro i bambini. È una guerra contro la loro infanzia e il loro futuro”. Un esempio, anche se in Cisgiordania, lo si è avuto anche martedì, quando un 13enne è stato ucciso a colpi di pistola dagli agenti della polizia di frontiera israeliana nel campo profughi di Shuafat per aver acceso un fuoco d’artificio nella loro direzione anche se non era diretto contro di loro. Atto che è valso ai militari i complimenti da parte del ministro per la Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir: “Mi congratulo con il combattente che ha ucciso il terrorista che ha tentato di sparare fuochi d’artificio contro di lui e la polizia. Questo è esattamente il modo in cui si deve agire contro i terroristi, con determinazione e precisione”.

“I nostri figli hanno già vissuto diverse guerre. Avevano già una scarsa capacità di recupero e ora è molto difficile affrontare queste ulteriori difficoltà. I bambini sono spaventati, arrabbiati e non riescono a smettere di piangere, questo succede anche a molti adulti. È troppo per noi, figuriamoci per i più piccoli”, ha dichiarato una madre di Gaza a Save the Children. Nella ricerca gli esperti di salute mentale e di protezione dell’infanzia che lavorano con Save the Children a Gaza affermano che senza un’azione urgente, a partire da un cessate il fuoco immediato e definitivo e da un accesso umanitario sicuro e senza restrizioni, la guerra infliggerà ulteriori danni mentali a bambini, bambine e adolescenti. Danni destinati a rimanere per tutta la vita, con una drastica riduzione delle opportunità di recupero.

“Uno dei miei figli sognava di diventare ingegnere e l’altro poliziotto. Ora uno vuole guidare un carretto trainato da un asino, perché vede questa realtà. E il sogno dell’altro figlio è vendere biscotti davanti a casa”, ha raccontato uno dei genitori intervistati. Dall’inizio dei bombardamenti di Israele come reazione all’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre, il 90% degli edifici scolastici di Gaza ha subito danni significativi e altri non possono più essere utilizzati come scuole: così 625mila studenti non vanno più a scuola, e 22.564 insegnanti sono impossibilitati a fare il loro lavoro. Una madre di quattro figli, che hanno età compresa fra i 7 e i 14 anni, ha detto: “Alcuni dei miei figli non riescono più a concentrarsi sulle attività di base. Dimenticano subito ciò che dico loro e non riescono a ricordare le cose appena accadute. Non direi nemmeno che la loro salute mentale è peggiorata, è stata proprio cancellata. Una completa distruzione psicologica”.

Anche prima del 7 ottobre – scrive Save the Children – la salute mentale dei bambini di Gaza era precaria a causa delle cicliche escalation di violenza, dell’impatto del blocco, comprese le restrizioni alla libertà di movimento e all’accesso ai servizi essenziali, della crisi economica e della separazione da familiari e amici. “I bambini qui hanno visto tutto. Le bombe, i morti, i cadaveri: non possiamo più fingere con loro. Ora capiscono e hanno visto tutto. Mio figlio sa persino distinguere i tipi di esplosivo che cadono: riesce a percepire la differenza”, ha raccontato un altro degli intervistati. “Mentre i bisogni umanitari aumentano, l’ultima escalation di violenza e l’assedio hanno causato un collasso totale dei servizi di salute mentale a Gaza, con i sei centri pubblici dedicati e l’unico ospedale psichiatrico di Gaza non più funzionante”, sottolinea Save the Children, aggiungendo che in Cisgiordania, invece, genitori e care giver sottolineano come i minori provino rabbia, dolore ed impotenza di fronte al linguaggio disumanizzante da parte dei funzionari del governo israeliano sui palestinesi: “Nessuno vuole che esistiamo sul pianeta”.

“È inaccettabile che qualsiasi bambino debba affrontare gli orrori che hanno vissuto quelli di Gaza. Mentre schivano bombe e proiettili, fuggono per strade disseminate di detriti e cadaveri, sono costretti a dormire all’aperto e non hanno a disposizione il cibo e l’acqua potabile necessari per sopravvivere. I bambini di Gaza stanno vivono quotidianamente da mesi shock e dolore inimmaginabili, che si sommano ai disagi di oltre 16 anni di blocco e successive escalation di violenza”, ha dichiarato Jason Lee, direttore di Save the Children per i Territori palestinesi occupati. “Questa guerra e le cicatrici fisiche e mentali che sta lasciando sui bambini stanno ulteriormente erodendo la loro capacità di recupero. C’è ancora speranza che, con un sostegno adeguato, si possa invertire la tendenza – ha deto ancora Lee – Durante l’infanzia, ci sono finestre critiche di opportunità per affrontare l’impatto del conflitto. Ma nulla di tutto ciò è possibile senza un cessate il fuoco immediato e definitivo e un accesso sicuro e senza ostacoli agli aiuti, in modo che gli operatori umanitari possano fornire il supporto critico necessario”.

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