di Daniela Patti, co-presidente di Volt

Solo il 52,2% degli aventi diritto in Abruzzo si è recato alle urne, ancora meno del 53% del 2019. E mentre i partiti si domandano se sia più efficace il campo largo o quello coeso, quello dell’astensionismo vince di gran lunga.

Il disincanto e la disillusione verso la politica nascono dal fatto che ci si senta abbandonati, dimenticati. Oggi ci vogliono 4 ore per percorrere in treno i 2400 km tra Roma e Pescara, una media di un chilometro al minuto, come agli inizi del XX secolo.

Il governo Meloni, un paio di settimane fa, ha annunciato lo stanziamento di fondi per i lavori sulla ferrovia Roma-Pescara ma la realizzazione era già stata prevista e finanziata dal Pnrr, solo che nelle rimodulazioni del 2023 l’opera era stata bloccata perché i fondi erano stati destinati ad interventi considerati più urgenti. Per poi tornare ad essere un’opera prioritaria a pochi giorni dalle elezioni.

Ricordiamo tutti il terremoto dell’Aquila nel 2009; tuttavia a quasi 15 anni dal tragico evento la vita nella città, il cantiere più grande d’Europa, è ancora molto difficile a causa di servizi carenti, illuminazione pubblica tentennante, la grandissima presenza di alloggi vuoti e un disagio che si manifesta nel crescente consumo di droghe e microcriminalità. Eppure il fondo complementare al Pnrr destina 700 milioni a imprese dei territori colpiti dai terremoti del 2009 e del 2016-2017, ma solo 70 milioni sono stati finora assegnati.

La delusione dei cittadini rispetto alla politica non è solo causato dalle promesse mancate nelle esigenze di vita, ma anche dalla poca rappresentanza.

Nonostante si parli di leadership femminile vs leadership femminista, solo tre donne sono state elette nel Consiglio Regionale dell’Abruzzo, nessuna del Partito Democratico. Le elette sono Erika Alessandrini per la provincia di Pescara (M5s), Tiziana Magnacca per la provincia di Chieti (Fratelli d’Italia) e Marianna Scoccia per la provincia dell’Aquila (Noi Moderati), ossia il 10% del consiglio regionale. Un dato in calo rispetto al 16% registrato nelle precedenti elezioni regionali del 2019, quando l’elezione aveva riguardato cinque donne. E i dati per la Basilicata sono ancora più fragili, dal momento che solo il 9,5% del Consiglio Regionale è attualmente composto da donne.

Questi dati sono allarmanti, soprattutto considerando l’importanza delle Regioni in termini di bilancio e l’attuazione di politiche fondamentali per la vita dei cittadini, come ad esempio la Sanità. La preoccupazione è ulteriormente accentuata se si considerano gli effetti devastanti che l’implementazione dell’Autonomia Differenziata potrebbe avere sulle Regioni.

Assistiamo ad un trend che occorre invertire al più presto: le istituzioni fondamentali per la vita dei cittadini non sono rappresentate dal 50% della popolazione italiana, ovvero le donne. E tutto ciò accade nonostante la Legge n. 165 del 2 luglio 2004 preveda la “promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive”, e che in ogni lista elettorale i candidati di un sesso non possano eccedere per il 60 per cento del totale e debba essere consentita l’espressione di almeno due preferenze, entrambe di sesso diverso.

Evidentemente i partiti non si sono premurati di inserire donne che potessero competere elettoralmente, nonostante tutte le difficoltà per le donne di conciliare la politica con la vita familiare e lavorativa. Sebbene sul territorio ci siano moltissime donne molto attive nel mondo dell’imprenditoria, della ricerca o del terzo settore, queste continuano a non trovare spazio nella rappresentanza politica.

Il tema della rappresentanza affligge anche i fuori sede. Il clamore che lo scorso febbraio si è creato intorno alle matite del FantaSanremo sembra già scemato, secondo l’Istat ci sono quasi 5 milioni di persone alle quali viene sistematicamente preclusa la possibilità di esercitare il diritto di voto. E l’emendamento promosso dalla Lega per il voto fuori sede non risolve il voto dei lavoratori, malati o caregiver. Inoltre l’emendamento riguarda solo le elezioni Europee, e non le altre elezioni, impattando quindi su solo 600.000 persone. Come se non bastasse, la maggior parte dei fuori sede è rappresentata da persone giovani, tra i 18 e i 35 anni, per lo più provenienti dalle regioni del Sud, che lasciano alla ricerca di migliori offerte di studio e lavoro.

In Abruzzo sono circa 58mila le persone che non hanno potuto votare a distanza perché temporaneamente residenti fuori Regione. E quando sei un giovane che hai lezioni da seguire o esami da dare, quando si lavora a partita Iva in condizioni precarie e sottopagate, spesso non si ha l’opportunità di viaggiare per votare, e gli sconti del 70% sul biglietto dei treni non bastano. E anche soluzioni di pullman organizzati dai partiti sono ininfluenti, come nel caso dei 36 campani con residenza nell’hinterland aquilano.

Noi di Volt crediamo in un approccio alla rappresentanza diverso. Abbiamo aderito alla campagna promossa da The Good Lobby “Io voto fuori sede” per ribadire la necessità di agevolare il voto di 5 milioni di fuorisede, un numero enorme, per le prossime europee. Ci impegniamo a rendere protagoniste della vita politica del nostro partito le donne, non ultimo con una rappresentanza con doppia carica in alternanza di genere e promuovendo leadership politica femminile come con la nostra Federica Vinci, vicesindaca di Isernia. E vogliamo replicare questo modello anche in Basilicata: in particolare a Matera dove abbiamo valide consigliere che portano avanti le nostre politiche e con loro ci prepariamo alle elezioni regionali.

Volt ha lanciato la campagna #4su10 per sensibilizzare sull’importanza del voto, perché crediamo che i 17 milioni di persone che alle scorse elezioni politiche non hanno votato, dimostrando nessuna fiducia nei partiti, vadano recuperati. Non basta creare alleanze di breve periodo, abbiamo bisogno di costruire fiducia nel futuro a partire da una politica che torni ad essere autorevole e vicina ai tanti disillusi.

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