Vent’anni fa oggi, l’11 marzo 2004, Madrid subisce il peggior attacco terroristico registrato in Europa: alle ore 7.38, il terrorismo islamico fa esplodere simultaneamente dieci bombe che provocheranno 192 vittime (193 dopo la morte di un poliziotto ferito un mese dopo gli attacchi, nell’esplosione di un appartamento legato ai terroristi) e più di 2mila feriti. Le cariche esplosive sono collocate su alcuni treni pendolari diretti alla stazione di Atocha, il principale scalo ferroviario della capitale spagnola, dove oggi si trova uno spazio dedicato alla memoria delle persone scomparse.

Già alle 10.30, il portavoce del partito Batasuna (ramo politico del gruppo terroristico basco Eta, protagonista principale degli attentati che ebbero luogo in Spagna negli anni Settanta-Novanta del secolo scorso) scarta l’ipotesi che Eta sia responsabile degli attacchi. Questo però non ferma i sospetti del governo: la prima apparizione di un membro dell’esecutivo avviene alle 13.15, quando il ministro dell’Interno Angel Acebes comincia a snocciolare i primi dati e a informare che non vi sono dubbi sulla responsabilità dell’Eta. Perciò anche il segretario generale del Psoe (partito allora all’opposizione) Zapatero qualche minuto dopo condanna “gli attentati più orrendi che Eta abbia mai commesso”.

La linea del governo continua a addossare ad Eta le responsabilità, anche se gli indizi raccolti nel corso della giornata fanno propendere per la pista del terrorismo islamico, complici le elezioni generali che si sarebbero tenute pochi giorni dopo. Il governo di centrodestra guidato da Aznar uscirebbe sbugiardato se i sospetti ormai proclamati non venissero confermati. Alle 20.15 il governo comincia ad ammorbidire le proprie posizioni, sostenendo che “non si scarta nessuna pista sugli autori degli attentati”. Il re compare in tv per chiedere “unità, fermezza e serenità per lottare contro i terrorismi”, e finalmente alle 21 arriva la rivendicazione degli attentati da parte della brigata di Abu Hafs Al Masri, legata ad Al Qaeda. Alle 18 del giorno dopo, Acebes afferma ancora che Eta resta la principale indiziata.

Il 13 marzo, giornata di silenzio elettorale, Acebes afferma che le indagini “avanzano sulle due possibili strade”, ma a questo punto si cominciano a raccogliere di fronte alla sede del Pp di Madrid molte persone che accusano il governo di nascondere dati sugli autori dell’attentato. Lo stesso accade a Barcellona e in molte altre città. In serata il ministro dell’Interno informa di aver fermato alcuni cittadini marocchini sospetti, e il portavoce del partito socialista afferma: “Gli spagnoli meritano un governo che non menta loro, ma dica sempre la verità”. E il 14 marzo, giorno del voto, il partito socialista esce vincitore dalle urne, determinando in sostanza la fine della carriera politica di Aznar.

Oggi, vent’anni dopo, il re e il premier Sanchez chiedono di evitare la radicalizzazione per continuare a prevenire il terrorismo, mentre i principali quotidiani (per esempio El Pais) pubblicano articoli su alcuni agenti, al tempo impegnati nelle investigazioni, che raccontano che allora si sentirono condizionati dalle pressioni politico-mediatiche sulla possibile responsabilità dell’Eta, sostenendo che le “due possibili strade” rimasero aperte fino all’esplosione dell’appartamento per mano dei terroristi suicidi, avvenuta ad aprile. Al tempo stesso, davanti alla condanna ferma del Psoe, il Pp difende l’operato dell’ex premier Aznar (“Non è il giorno per attaccare chi era al governo”), mentre la sua fondazione addirittura diffonde un comunicato che lo assolve: l’ex presidente “mai” avrebbe avuto elementi per scartare “definitivamente” la responsabilità dell’Eta. Considerando che si tratta dello stesso partito che esprime la presidenza della regione di Madrid e persino il sindaco della città, direi non benissimo.

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