Di Dune – Parte due si potrebbero dire molte cose non esattamente celebrative: metterne in luce le lungaggini, farragini e incongruenze narrative (un esercito di scapestrati ‘mujaheddin’ annienta come niente fosse il potente esercito imperiale dei Sardaukar), l’insistenza – testardamente hollywoodiana – sull’azione a scapito dell’introspezione e della teosofia così centrale, invece, nel romanzo; e poi quelle riprese dal basso d’ombre che s’allungano e dissolvono in una combustione maligna: i presagi di distruzione del veggente Paul Atreides girati, malamente, à la Terrence Malick: da melodramma religioso come del resto molto dell’invasamento che istiga i Fremen al jihad rivoluzionario.

Tutto vero, per carità; ma allora perché, usciti dal cinema, ci si porta appresso una sensazione di suggestiva grandezza, di aver cioè per un tempo indeterminato abitato una dimensione non solo altra ma anche, per intensità dell’esperienza evocata, straordinaria, capace di realizzare in modo profondo qualcosa che, intimamente, sollecita il nostro desiderio?

Propongo, per tentar di rispondere, una breve riflessione intorno alla forma di questo desiderio, che definirei gnostico. Alla radice, esso è un tentativo di rispondere, immaginando un’alternativa, alla diagnosi dell’insufficienza di questo mondo. Il mondo così come appare e viene vissuto è talmente insoddisfacente da doverlo negare. Tale negazione, in genere realizzata per via ascetica, mira al conseguimento di un’assolutezza totalmente altra rispetto alla limitazione imposta dalle cose percepite.

A differenza di esse, cioè della determinatezza che assumono i fenomeni umani, esisterebbe un orizzonte ‘trascendente’ capace di vera pienezza: di dar luogo a quell’esperienza e conoscenza integrali che nel ‘nostro’ mondo sono invece precluse.

Ebbene, cosa c’entra con tutto ciò la fantascienza? Il punto, credo, è che essa muove da uno stesso principio: l’insufficienza del mondo così com’è e come si presenta. Con una differenza dirimente, e cioè che una gnosi negativa è prospettiva plausibile solo per l’uomo che non abbia ancora attraversato il processo di secolarizzazione compiutosi con la modernità.

In altre parole, l’uomo antico nega il mondo per immedesimarsi a un Assoluto immateriale aniconico: la pura forma del divino che come tale non è passibile di rappresentazione ma semmai coglibile tramite l’atto oltreumano dell’unio mystica. Atteggiamento tuttavia inconcepibile per l’uomo moderno, perché significherebbe accettare il dogma di un divino completamente altro e ulteriore. Pura teologia, con tutto il carico di regressione che un’opzione di questo tipo comporta.

Così l’uomo moderno, a partire da una stessa diagnosi di tipo gnostico, l’insufficienza del mondo, concepisce viceversa, stavolta in senso attivo, un cosmo altro in cui non vigono più i vincoli e le limitazioni del suo proprio mondo. Per questo negli universi creati dalla fantascienza si spostano gli oggetti col pensiero, si comunica senza bisogno di proferir parola, si sperimenta l’ebbrezza lisergica della visione sciamanica, si possiede piena consapevolezza di tutto ciò che si è sedimentato non solo nel deposito della propria memoria individuale, ma anche nell’inconscio generazionale della propria famiglia e della propria stirpe.

Dunque telecinesi, telepatia, estasi, preveggenza, capacità fisiche e intellettive sovraumane – si tratta in tutti questi casi di facoltà che chiunque vorrebbe possedere trovandosi invece inevitabilmente nell’impossibilità di potervi anche soltanto aspirare. La gnosi attiva che alimenta l’immaginazione creatrice fantascientifica non fa quindi che dar forma concreta, attribuendovi un mondo, a questo desiderio.

Ed è difficile negare che Dune, anzitutto il libro di Frank Herbert ma anche quest’ultima sua versione cinematografica, riesca ad allestire una realtà visiva dove tutto ciò esiste ad un grado di potenza sufficientemente significativo da attivare una forma di immedesimazione radicale.

Postilla. Molta della tecnologia di cui oggi disponiamo, basti pensare anche solo a una videochiamata, è stata preannunciata, talora in modo incredibilmente esatto, dalla fantascienza. Internet, da questo punto di vista, quale dimensione interattiva universale dove tutto è potenzialmente connesso con tutto, costituisce senza dubbio, ontologicamente parlando, cioè quanto alla realtà che esprime, qualcosa di profondamente desiderato e desiderabile per l’io ordinario confinato nella propria vincolante limitazione empirica.

L’interesse e l’attrazione che Internet costantemente suscita è la normale conseguenza del suo potere ‘fantascientifico’: rende esperibile qualcosa cui prima della sua esistenza il soggetto poteva soltanto anelare. Realizza cioè per l’esperienza un universo fantascientifico incredibilmente attivo e fruibile.

In che misura si tratti però altrettanto di una negazione gnostica del mondo, questo è un forse un elemento che merita di esser preso in considerazione. Fenomeni espressamente rituali come i social media, nonché l’esaltazione, che ha tratti spesso fideistici e messianici, per quel che l’innovazione tecnologica renderà presto possibile, ripropongono la domanda, del resto inaggirabile ogniqualvolta si consideri ogni fatto tecnologico con un minimo di consapevolezza filosofica, sul desiderio religioso che accompagna queste trasformazioni.

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