Alperen Sengun: il ritorno di Kevin McHale?
Atletico non è di certo. Salta poco. Non è velocissimo. Sul primo passo manca di esplosività. Tra l’altro, sembra anche un tantino rigido con la schiena. Lontano anni luce dall’immagine del vostro giocatore copertina ideale. Tuttavia, Alperen Sengun continua a essere una delle rivelazioni di questa stagione (21,3 punti di media con 9,4 rimbalzi). In settimana, ha travolto i San Antonio Spurs con 45 punti, ben 16 rimbalzi e 5 palle rubate, portando a scuola di “piede perno” il giovane di 224 che corrisponde al nome di Victor Wembanyama. Non che Sengun sia in là con gli anni (21), però gioca con una maturità spaventosa dal punto di vista della postura in campo. Il centro degli Houston Rockets è un concentrato di fondamentali sottocanestro degni del miglior Kevin McHale (legenda dei Boston Celtics al fianco di Larry Bird). Classico centro di 211 cm, furbo come una faina, che conosce mille e più trucchetti da vecchia scuola per ricordarti che “saltare un metro e mezzo da terra” non vuol dire necessariamente saper giocare a basket. Prendano nota i ragazzini che stanno iniziando a studiare il gioco. Il giocatore turco, dal cognome quasi giapponese a livello fonetico, è di quelli che spalle a canestro può distruggerti senza movimenti roboanti, senza flash. Palleggio per avvicinarsi al ferro, capisce con la schiena la reazione del proprio marcatore e agisce di conseguenza: virata sul perno, finta e semi-gancio, oppure scarico sul perimetro. Si, perché nonostante dei piedi non proprio da ballerino di tiptap, Sengun ha un discreto playmaking e visione di gioco. Mano rotonda, anche se da tre non è propriamente un radar (29,7%), è dotato di un buon tiro su una gamba cadendo all’indietro, che scocca soprattutto dalla lunetta. E mani dolci in avvicinamento. Buon rimbalzista (anche in attacco), nonostante uno stacco da terra di certo non clamoroso. Vero che i Rockets non stanno facendo chissà quale tipo di stagione esaltante a livello di vittorie (sono sotto il 50%). Però qualche scampolo di speranza in ottica di ricostruzione si inizia a intravedere. Giovani da tenere sotto osservazione. Come Jalen Green, realizzatore esplosivo che ha bisogno di lavorare ancora sul tiro da fuori per diventare una minaccia costante delle difese. Oppure Jabari Smith, che non sarà la stella che tutti credevano una volta uscito dal college, ma può diventare un lungo (211 cm) tiratore solido. Anche il rookie Amen Thompson (gemello di Ausar di Detroit) può essere della partita: da fuori non la mette mai, ma ha grande feeling per il gioco. Sengun, se continua così, è destinato a guidare questo gruppo di giovani per i prossimi anni.

Le prospettive dei Phoenix Suns
Di certo, le premesse erano ben diverse a inizio campionato. Di certo, tutti pensavano ai Phoenix Suns in una posizione di classifica più gratificante a questo punto della stagione (sono sesti a Ovest), con la concentrazione di talento di cui sono dotati. Gli infortuni hanno pesato, certo, senza ombra di dubbio. Però anche oggi, che sono più o meno al completo, i Suns danno l’impressione di essere una squadra discontinua. In una partita, sembrano imbattibili pure per un Dream Team. La partita successiva, vanno sotto anche con una squadra di bassa classifica. Non sono male, intendiamoci. Ma hanno Kevin Durant, Devin Booker e Bradley Beal in quintetto. Quindi ci si aspetta sempre una potenza di fuoco sconquassante, da far saltare i palazzetti. La sensazione è che manchi un po’ di equilibrio offensivo. Sembra quasi che ogni azione sia contraddistinta da un uno contro uno di uno a turno delle tre stelle. Adesso tira Durant, mentre poi tocca a Booker, il terzo è Beal. Sembra giochino poco nel flusso. C’è poco movimento e non è che la sfera giri poi così tanto. Durant (uno dei migliori realizzatori della storia) non è un leader, questo ormai è lampante. Devin Booker è migliorato nella gestione del gioco, ma è un killer nel palleggio-arresto-e-tiro e in uscita dai blocchi. Non è un playmaker. Manca qualcuno in grado di organizzare bene il gioco e di distribuire la palla con continuità: da qui, le valanghe di palle che Phoenix perde a ogni partita. Beal non è ai livelli di Washington. Inoltre, cosa pericolosa nella NBA moderna, i Phoenix Suns tirano più dalla media distanza che da tre punti, sono spesso in difficoltà sotto i tabelloni, e hanno una panchina che non convince fino in fondo. Bol Bol (figlio del compianto Manute Bol) ha altezza, punti nelle mani, e disorganizzazione offensiva. Eubanks è un muscolare e nulla più. Eric Gordon può entrare e garantire canestri istantanei. Altri giocatori davvero determinanti non se ne vedono. Nota positiva? Un Grayson Allen che la mette da fuori con il 47,5% (mostruoso) e gioca sempre come fosse l’ultima gara della sua vita. Vero è che se prendono il treno giusto possono battere chiunque, anche nei playoff. C’è da dire che ci si aspettava di più. È un dato di fatto.

That’s all Folks!

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