“Non sapendo come gestire la situazione volevo aiutare Giulia, farle capire, darle qualcosa di concreto e farle capire cosa stava succedendo”. È il giorno della testimonianza della 23enne italo-inglese con cui Alessandro Impagnatiello – imputato per aver ucciso con 37 coltellate la fidanzata Giulia Tramontano, incinta al settimo mese – aveva una relazione parallela. La ragazza – che ha risposto alle domande davanti ai giudici della Corte d’assise di Milano protetta da un paravento ha parlato più volte degli “inganni” dell’uomo e ha pianto a tratti durante la deposizione. Secondo gli inquirenti rischiò di essere la seconda vittima dell’uomo che andò da lei dopo aver ammazzato la compagna. L’imputato – che a inizio processo aveva chiesto scusa per la sua “disumanità” – in gabbia è stato con con la testa abbassata.

“Ti prego salvati appena puoi” – La giovane ha raccontato come aveva cercato di mettere in guardia Giulia dalla disonestà dell’uomo: “Ti prego salvati appena puoi. Ora voglio e devo salvare te e il tuo bimbo” scrisse in una chat, prima di incontrarla per confrontarsi, poche ore prima dell’omicidio. Il lungo scambio di messaggi ci fu “appena dopo la chiamata che le feci, prima dell’incontro con lei”. La teste ha spiegato: “Volevo salvarla da una persona che non era onesta“. La 23enne ha spiegato come l’uomo le avesse detto che lui e Giulia non stavano più insieme e che il figlio non era suo mostrando un teste del Dna falsificato: “Quando l’ho conosciuto ero consapevole che era fidanzato, ma poi mi aveva detto che si erano lasciati, che non voleva più stare con lei e che non erano più felici nella relazione. Ho capito, poi, che Giulia era ancora presente verso marzo, aprile e che lui non era da solo, quando era andato in vacanza a Ibiza e ho visto sul suo telefono delle sue foto con lei. Fin dall’inizio ha detto che non era il padre del bambino e che aveva fatto il test del Dna. Gli avevo chiesto di farmelo vedere per confermare se diceva la verità. Quando ho visto il test, ci ho creduto”.

“Così decisi di raccogliere prove” – La 23enne scopre che Impagnatiello mente su tutto: “Lui aveva detto che lei era da sola e non stava bene, che aveva provato a farsi del male e perciò lui era preoccupato. Quando sono andata in viaggio a maggio, lui mi ha prestato il suo tablet e lì ho trovato il file del test del Dna. Ho visto la cronologia delle sue ricerche e ho trovato le immagini per creare il documento. Ho visto anche nelle mail il file Excel per fare il documento”. Da lì la decisione della ragazza di non dire niente per raccogliere “altre prove” così da non consentirgli di continuare a mentire. “Avendo già mentito la prima volta, non volevo che creasse un’altra storia per coprirsi. Ho aspettato di vedere come agire“. Quando il pm Alessia Menegazzo le ha poi chiesto della gravidanza avuta con Impagnatiello e della successiva decisione di abortire, la ragazza si è commossa e ha avuto bisogno di qualche secondo prima di rispondere. “Ho deciso io di abortire, perché non stavo bene, e io per questo, comunque, ci soffro ancora”.

“Giulia doveva sapere” – “Quando ho chiamato Giulia lei mi ringraziò, le ho spiegato chi ero e che ero nella stessa sua situazione, lei mi ha ringraziato e mi ha detto che voleva vedermi, mi ha detto che ci dovevamo vedere quello stesso giorno e lui ha scoperto che avevo parlato con lei ed era incazzato, mi ha detto ‘ti metti a chiamare Giulia. Avevo deciso di dire a Giulia quello che volevo farle sapere, che ne avevo abbastanza delle bugie di lui, ho deciso che lei doveva sapere – ha raccontato la testimone – lui continuava a negare tutto nonostante le prove che avevo”. Prima del 27 maggio, giorno dell’omicidio, “l’ho affrontato e gli ho detto che sapevo tutto e volevo finire la relazione, siamo tra il 20 di maggio e il 27, forse il 24, 25, e lui mi disse che voleva parlarmi della sua situazione e continuava a negare, a dire che non era il padre del bimbo, anche se avevo scoperto che il test del Dna era falso. Diceva che non stava più con Giulia. “‘Se non ci credi che non è figlio mio chiama Giulia, mi minacciò così. Ma io avevo già deciso di chiamarla e l’ho chiamata. Quando lui ha capito che Giulia stava venendo sotto l’hotel a parlare è uscito prima dal lavoro. Noi gli avevamo anche proposto di partecipare al nostro incontro”.

La mamma di Giulia: “Io e mio marito non stiamo bene” – Sul banco dei testimoni anche la madre della vittima: “Non stiamo bene. Io e mio marito abbiamo delle difficoltà. Vedere i bambini mi mette un’angoscia immane – ha detto in aula Loredana Femiano – Non dormiamo, non usciamo più. Io non ho più una vita ho perso una figlia e un nipote, ma anche i miei figli hanno perso una madre. Io non sono più una mamma”. Con l’inizio del processo “le cose sono anche peggiorate perché si ricomincia a parlare di Giulia. Un’altra cosa che mi ha fatto un male immenso è stato scoprire tramite i miei legali che la macchina in cui mia figlia è stata trasportata è stata acquistata dalla compagna del fratello dell’imputato. Quella macchina voglio farla sparire – ha aggiunto, non voglio pensare che ci salga altra gente”. Dopo avere ucciso la compagna con 37 coltellate e aver tentato per due volte di bruciare il corpo, Impagnatiello lo aveva caricato nel bagagliaio dell’auto e successivamente l’aveva abbandonato in un’intercapedine dietro alcuni box poco lontano da casa.

La mamma dell’imputato: “Volevo morire io” – Dopo la madre della vittima a testimoniare è stata chiamata la madre dell’imputato: “Volevo morire io. Ho perso mio nipote Thiago e mio figlio Alessandro” ha detto Sabrina Paulis scoppiando. Ricordando l’ultimo giorno di vita della ragazza, quando era stata contattata dalla donna con cui il compagno aveva una relazione parallela, la madre del 30enne dice, tra le lacrime: “questa ragazza le mandava i messaggi di ciò che le scriveva Alessandro, le faceva vedere le foto di casa loro e i video di loro insieme. Io le dicevo: ‘Giulia, basta guardare”. Quando l’avvocato della famiglia Tramontano, Giovanni Cacciapuoti, le ha domandato cosa abbia pensato delle goccioline di sangue sulle scale, lei ha risposto: “Io non ho mai pensato male di mio figlio”. Ricostruendo il giorno dopo il delitto e quelli successivi, quando è entrata per la prima volta nell’appartamento della coppia a Senago, nel Milanese, per cercare la ragazza, ha affermato di non aver notato nulla di strano in casa ad eccezione della “borsa di Giulia sul tavolo”. Parlando poi della prima telefonata con il figlio dopo la scomparsa della 29enne, la madre ha ricordato che “Alessandro urlava: ‘dov’è Giulia, dov’è Giulia”.

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