Che le micro e le nanoplastiche siano praticamente onnipresenti non solo nell’ambiente che ci circonda, ma anche all’interno del nostro stesso organismo lo sapevamo da tempo. Tracce di questi contaminanti infatti sono state trovate in diversi organi e tessuti, tra cui la placenta, il latte materno, il fegato e i polmoni, compresi i tessuti cardiaci. Ora, per la prima volta, uno studio italiano non solo ha trovato micro e nanoplastiche nelle placche aterosclerotiche, cioè nei depositi di grasso nelle arterie “nemiche” del cuore, ma ne ha anche dimostrato la loro pericolosità. I dati raccolti, pubblicati sulla rivista New England Journal of Medicine, mostrano infatti che le placche aterosclerotiche “inquinate” sono più infiammate della norma, quindi più friabili ed esposte a rischio di rottura. Questo significa che sono legate a un aumento almeno 2 volte più alto del rischio di infarti, ictus e mortalità rispetto a placche aterosclerotiche che non sono “infarcite” di plastica.

Lo studio è frutto di un’ampia collaborazione, coordinata da ricercatori dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, che vede la collaborazione di numerosi enti di ricerca, tra cui l’Harvard Medical School di Boston, l’IRCSS Multimedica di Milano, le università di Ancona, della Sapienza di Roma e di Salerno e l’IRCSS INRCA di Ancona, che dimostra come le placche aterosclerotiche contengano spesso micro e nanoplastiche a base di polietilene (PE) o polivinilcloruro (PVC), due dei composti plastici di maggior consumo nel mondo, utilizzati per realizzare prodotti che vanno dai contenitori ai rivestimenti, dalle pellicole plastificate a materiali per l’edilizia.

L’indagine è stata condotta su 257 pazienti con oltre 65 anni sottoposti a un’endoarterectomia per stenosi carotidea asintomatica, procedura chirurgica durante la quale sono state rimosse placche aterosclerotiche che poi sono state analizzate con il microscopio elettronico così da rilevare l’eventuale presenza di micro e nanoplastiche, ovvero particelle plastiche con un diametro rispettivamente inferiore a 5 millimetri o a 1 micron (0,001 millimetri). “L’analisi ha dimostrato la presenza di particelle di PE a livelli misurabili (circa 20 microgrammi per milligrammo di placca) nel 58,4% dei pazienti e di particelle di PVC (in media 5 microgrammi per milligrammo di placca) nel 12,5%”, dichiara Giuseppe Paolisso, coordinatore dello studio e ordinario di Medicina Interna dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”. “Soprattutto, tutti i partecipanti sono stati seguiti per circa 34 mesi e si è osservato che in coloro che avevano placche ‘inquinate’ dalle plastiche il rischio di infarti, ictus o di mortalità per tutte le cause – continua – era almeno raddoppiato rispetto a chi non aveva placche aterosclerotiche contenenti micro e nanoplastiche, indipendentemente da altri fattori di rischio cardio-cerebrovascolari come età, sesso, fumo, indice di massa corporea, valori di colesterolo, pressione e glicemia o precedenti eventi cardiovascolari. I dati mostrano inoltre un incremento locale significativo di marcatori dell’infiammazione in presenza delle micro e nanoplastiche”.

Nello studio i ricercatori hanno spiegato anche qual è il meccanismo alla base dei danni creati al cuore dalla plastica. “L’effetto pro-infiammatorio potrebbe essere uno dei motivi per cui le micro e nanoplastiche comportano una maggiore instabilità delle placche e quindi un maggior rischio che si rompano, dando luogo a trombi e provocando così infarti o ictus”, spiega Raffaele Marfella, ideatore dello studio e ordinario di Medicina Interna dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”. “Dati raccolti in vitro e negli animali da esperimento hanno già mostrato che le micro e nanoplastiche possono promuovere lo stress ossidativo e l’infiammazione nelle cellule dell’endotelio che ricopre i vasi sanguigni – continua – ma anche che possono alterare il ritmo cardiaco e contribuire allo sviluppo di fibrosi e alterazioni della funzionalità del cuore: questi risultati mostrano per la prima volta nell’uomo una correlazione fra la presenza di micro e nanoplastiche e un maggior rischio cardiovascolare”.

Lo studio è accompagnato da un editoriale della rivista che definisce la ricerca “una scoperta rivoluzionaria che solleva una serie di domande urgenti: l’esposizione a microplastiche e nanoplastiche può essere considerato un nuovo fattore di rischio cardiovascolare? Quali organi oltre al cuore possono essere a rischio? Come possiamo ridurre l’esposizione?”, scrive l’epidemiologo Philip J. Landrigan, fondatore e direttore del Global Public Health Program del Boston College e del Global Pollution Observatory all’interno dello Schiller Institute for Integrated Science and Society, che firma il testo. “Il primo passo è riconoscere che il basso costo e la convenienza della plastica – sono ingannevoli e che, di fatto, nascondono grandi danni, come il contributo della plastica agli esiti associati alla placca aterosclerotica. Dobbiamo incoraggiare i nostri pazienti – conclude – a ridurre l’uso della plastica, in particolare degli articoli monouso non necessari”.

di Valentina Arcovio

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