di Claudia De Martino

L’Unrwa, agenzia Onu specificatamente dedicata ai diritti dei rifugiati palestinesi, ha recentemente festeggiato i suoi 75 anni: istituita con una Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1949 (Unga Res. 302/1949), l’Agenzia specializzata nel sostegno ai rifugiati palestinesi è ancora oggi il simbolo della responsabilità collettiva che la comunità internazionale detiene nei confronti della “causa palestinese” a seguito della creazione dello Stato di Israele.

La sua esistenza dipende dal rinnovo periodico del suo mandato dai Paesi membri dell’Assemblea Generale Onu, che concorrono volontariamente al suo finanziamento. Essa presenta un doppio mandato: aiutare i rifugiati palestinesi nella ricerca di lavoro e nell’istruzione e sostenerli economicamente per la perdita della propria terra di origine nel 1948, che li ha costretti ad una costante precarietà di vita testimoniata dalle misere condizioni prevalenti nei campi profughi.

È un’agenzia separata dalla più nota Unhcr, l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, perché il suo gruppo di riferimento sono esclusivamente i palestinesi e il suo mandato non è quello tradizionale di facilitare il ricollocamento dei rifugiati, ma piuttosto di assisterli materialmente, finanziariamente e attraverso l’erogazione di servizi sanitari e percorsi di istruzione nei 58 campi profughi presenti in Giordania, Libano, Siria, Cisgiordania e Striscia di Gaza. I rifugiati palestinesi, infatti, si trovano in una condizione impossibile: Israele ne rifiuta il ritorno all’interno dei propri confini e loro rigettano la possibilità di emanciparsi altrimenti dal loro status di rifugiati per mantenere inalterata la loro identità nazionale palestinese. Il risultato di questo doppio veto è, ovviamente, il mancato superamento della loro condizione di profughi a 75 anni dalla “Nakba”, la grande catastrofe che determinò l’espulsione di 760.000 palestinesi all’indomani della guerra del ’48.

Oggi, l’Unrwa gestisce 703 scuole che offrono istruzione primaria e secondaria a oltre 543mila studenti palestinesi e offre anche servizi sociali e sanitari di base, costituendo un’istituzione cardine tanto nei Territori occupati che nei campi profughi presenti negli Stati arabi vicini, ma particolarmente nella Striscia di Gaza sotto le bombe, dove pure nel corso dell’ultimo conflitto si sono registrati 170 attacchi aerei dell’Idf sulle sue strutture, considerate depositi di armi e, in alcuni casi, piattaforme di lancio di missili di Hamas, con ben 150 dipendenti rimasti uccisi nei raid.

Al centro dell’attuale inchiesta che investe l’Agenzia, vi sarebbe la denuncia da parte di Israele di una complicità diffusa del personale Unrwa con Hamas, con 13 dipendenti comprovatamente al servizio dell’organizzazione terroristica e partecipi degli attentati del 7 ottobre. Tuttavia, anche se Israele ha al momento dimostrato la collusione di soli 13 dipendenti locali su 13mila, ciò è stato sufficiente affinché 16 Paesi donatori, tra cui l’Italia – la cui contribuzione al budget dell’Unrwa è libera – sospendessero i propri pagamenti, gettando l’Agenzia in una situazione di grave precarietà finanziaria.

Israele argomenta che l’Unrwa sia un’anomalia storica, dal momento che non esiste un solo altro caso al mondo in cui i profughi vengano considerati tali alla quinta generazione dagli eventi che ne hanno provocato l’esodo, portando i discendenti dei primi rifugiati all’attuale quota inflazionata di 5.9 milioni. Propone, dunque, che l’Agenzia dovrebbe essere riformata dalle fondamenta, o essere accorpata all’Autorità Nazionale Palestinese o, infine, fondersi con l’Unhcr.

Inoltre, Gerusalemme lamenta la definizione troppo ampia di rifugiato applicata ai palestinesi, che comprende anche persone che detengono un’altra cittadinanza straniera (come quella giordana) e cittadini detentori di passaporto dell’Autorità Nazionale Palestinese, quando la Convenzione di Ginevra (1951) stabilisce che la regola generale è che non si sia più considerati “rifugiati se si è acquisita una nuova nazionalità”. Inoltre, anche persone abbienti e con un’attività professionale altamente qualificata, che non avrebbero bisogno di sostegno economico, figurano tra i rifugiati.

Infine, Israele sostiene che la delega di tutti i servizi socio-assistenziali all’Unrwa nella Striscia di Gaza abbia liberato risorse che Hamas avrebbe investito solo nell’attività militare, contribuendo implicitamente alla prosecuzione del conflitto.

Le critiche israeliane allo statuto e alle attività dell’Unrwa sono perfettamente razionali e legittime ed è chiaro che il mandato indefinito dell’Agenzia non aiuti a intravedere un termine entro il quale i rifugiati palestinesi dovrebbero emanciparsi dalla loro condizione di minorità. Tuttavia, la decisione dei Paesi finanziatori di sospendere i propri fondi proprio nel momento di maggiore crisi umanitaria mai sperimentato dalla popolazione della Striscia appare puro cinismo: anche qualora una minoranza dei dipendenti Unrwa abbia partecipato attivamente al massacro del 7 ottobre, questo fatto da solo non potrebbe mai invalidare il ruolo positivo e fondamentale alla sopravvivenza di oltre due milioni di persone disperate e ridotte in miseria che l’Unrwa ricopre in questo frangente, nell’impossibilità, in tempi di guerra, di sostituirla con altri enti che possano vantare lo stesso radicamento.

Nondimeno, vi è un argomento ancora più forte per controbattere alle accuse israeliane: se è vero che è assurdo tramandare lo statuto di rifugiato oltre la prima generazione, lo è altrettanto mantenere un’occupazione definita “temporanea” su territori stranieri da quasi 60 anni. Non si capisce per quale motivo, infatti, sarebbe maggiormente razionale affermare la sovranità israeliana sulla Giudea e la Samaria – definizioni territoriali di regni e città afferenti all’ottavo secolo avanti Cristo – in nome di una profezia biblica politicizzata e riadattata alla realtà del XXI secolo per uso e consumo di un ampio gruppo di estremisti ebrei nazionalisti.

In altri termini, è bene ricordare che è l’occupazione israeliana la principale causa della prosecuzione del conflitto e che, se questa dovesse cessare, anche la questione dei rifugiati potrebbe un giorno essere affrontata in termini diversi, accogliendo le valide perplessità israeliane.

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