Fanno discutere le dichiarazioni della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen che in merito alla minaccia di una guerra ha affermato che si inizia con “l’urgente necessità di ricostruire, rifornire e modernizzare le forze armate degli Stati membri. Così facendo, l’Europa dovrebbe sforzarsi di sviluppare e produrre la prossima generazione di capacità operative vincenti. E per garantire che disponga della quantità sufficiente di materiale e della superiorità tecnologica di cui potremmo aver bisogno in futuro. Ciò significa potenziare la nostra capacità industriale della difesa nei prossimi cinque anni”. Le sue dichiarazioni, tese a rafforzare il ruolo dell’Europa, sembrano una risposta secca a quelle di Trump, il quale ha dichiarato che una volta disse a un leader mondiale che non avrebbe protetto i membri della Nato e che avrebbe addirittura “incoraggiato” gli aggressori a “fare quello che diavolo vogliono”.

I membri della Nato, l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, concordano sul fatto che se uno di loro viene attaccato, tutte le altre nazioni dovrebbero aiutarlo, il che potrebbe includere l’uso della forza armata. Il colosso Rheinmetall ha affermato che investirà più di 300 milioni di dollari (274 milioni di sterline) nella nuova struttura. In totale, Rheinmetall vuole produrre, in tutti i suoi siti in Europa, fino a 700.000 proiettili di artiglieria all’anno nel 2025. Prima dell’invasione russa dell’Ucraina, ne produceva solo 70.000. Eppure, nel 2023, la Germania era tra la maggioranza dei membri della Nato che secondo le previsioni avrebbero mancato l’obiettivo di spesa del 2%. Si prevede che Berlino raggiungerà il 2% nel 2024, ma solo attraverso un fondo una tantum.

Intanto il prezzo delle azioni di Rheinmetall è aumentato costantemente dopo l’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia. Secondo il Financial Times il valore delle sue azioni è quadruplicato dal 2022. Al secondo posto per guadagni in borsa c’è la svedese Saab mentre al terzo posto l’italiana Leonardo. La crisi delle munizioni ha portato alla ribalta i produttori nazionali di armi e il rinnovato interesse tra le nazioni europee per le capacità di difesa aerea e missilistica si è rivelato un vantaggio per alcuni produttori come nel caso del colosso della difesa svedese Saab.

Thierry Breton, il commissario europeo per il mercato interno, ha recentemente proposto di istituire un fondo per la difesa dell’Ue da 100 miliardi di euro per finanziare gli appalti congiunti per la difesa e aumentare la produzione di armi e munizioni. La proposta di Breton ha il sostegno del presidente francese Emmanuel Macron, suo stretto alleato. C’è sicuramente chi vede in questo riarmo una occasione per un’Europa più fiduciosa nelle propria capacità difensiva in grado di spezzare quel circolo vizioso per cui ha disperatamente paura che gli Stati Uniti cessino di garantire la sua sicurezza. Senza fiducia nella propria capacità di difendersi, un paese o una regione saranno sempre sottomessi ai desideri e agli interessi di un protettore militare.

Il primo ministro danese Frederiksen è tra coloro più favorevoli al riarmo. La Danimarca, convinto sostenitore dell’Ucraina, è tra i maggiori contribuenti di aiuti militari rispetto alle dimensioni della sua economia. Il suo nuovo pacchetto di aiuti militari da 1,7 miliardi di corone (247,4 milioni di dollari) ne è una prova.

C’è poi la minaccia che la Russia possiede un enorme arsenale nucleare. Al contrario, solo due paesi europei possiedono armi nucleari: la Francia e il Regno Unito (che non fa più parte dell’Ue e fa molto affidamento sulla tecnologia americana). Dato che Putin ha già minacciato di utilizzare armi nucleari tattiche in Ucraina, l’Europa potrebbe sviluppare una propria strategia di deterrenza nucleare. Di sicuro fabbricare ma soprattutto vendere all’estero armi e armamenti serve ai paesi europei per stringere delle relazioni e per garantire il proprio valore in un settore strategico visto che esportare o fabbricare un’arma non ha solo un riscontro economico per le aziende del settore ma anche politico.

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