A cavallo del capodanno 2024 la Repubblica Democratica del Congo ha vissuto una gravissima emergenza a causa di inondazioni dovute alle forti piogge che hanno fatto esondare il fiume Congo. Si contano almeno 300 vittime, centinaia di migliaia di sfollati e danni per milioni di dollari. Sono state distrutte 34 strutture sanitarie e 120 scuole, mettendo a rischio la salute della popolazione e il diritto all’istruzione dei bambini. Si teme il rischio di epidemie di colera a causa della mancanza di adeguati servizi igienico-sanitari e di acqua potabile.

Più di 2000 ettari di terre coltivabili sono andati distrutti, mettendo a rischio la sicurezza alimentare degli abitanti e portando ad un peggioramento della situazione già endemica di malnutrizione, soprattutto infantile. L’attività estrattiva del cobalto e del rame (per il 90% destinati alla produzione di batterie per le automobili elettriche e alle tecnologie per la produzione di energia rinnovabile, di cui si prevede un aumento della richiesta fino a 222 mila tonnellate entro il 2025 rispetto alle circa 70 mila del 2010) hanno negli anni aggravato la condizione economica e sociale a causa di sgomberi illegali e la distruzione di terreni agricoli, rendendo le persone ancora più vulnerabili davanti agli eventi estremi.

L’evento è avvenuto perché le tipiche piogge stagionali del periodo settembre-maggio sono state rese più intense dall’emergenza climatica e dal riscaldamento globale. La capacità dell’atmosfera di assorbire vapore acqueo infatti cresce con la temperatura, ogni grado di aumento della temperatura atmosferica significa il 7% in più di capacità di incamerare vapore acqueo. Così, quando piove, la quantità di acqua che si riversa sul suolo è molto maggiore dando origine a questi eventi estremi.

Le precipitazioni cadute sono il doppio della media registrata nel 2022 e nel 2023. Per trovare un evento di portata simile bisogna tornare indietro di decenni, al 1961, quando il fiume Congo raggiunse il livello di 6,26m contro i 6,20m attuali. La deforestazione ha inoltre aumentato il rischio di frane e una cattiva pianificazione urbana e infrastrutture deboli hanno aggravato il quadro complessivo.

Secondo i dati della Banca Mondiale vi è una chiara tendenza all’aumento della frequenza e dell’intensità di questo tipo di calamità dovute al cambiamento climatico. I modelli prevedono inoltre un ulteriore peggioramento, particolarmente marcato negli scenari peggiori descritti dall’Ipcc, con un aumento della temperatura anche superiore ai 4°C entro il 2100. In mancanza di un cambio di rotta, eventi di questo tipo potrebbero in futuro avere tempi di ritorno al di sotto dei 10 anni, compromettendo irrimediabilmente la produzione alimentare di questo fertile territorio e la sicurezza alimentare delle popolazioni che lo abitano.

Il tempo di ritorno è il tempo compreso tra due eventi meteorologici estremi. I tempi di ritorno, a causa dell’aumento delle temperature globali, stanno diminuendo in tutto il mondo e in tantissimi Paesi si assisterà ad un aumento analogo della frequenza di alluvioni, cicloni e inondazioni alternate da periodi di siccità che metteranno in crisi l’agricoltura e l’approvvigionamento idrico.

Per evitare il ripetersi di queste tragedie bisogna quindi agire su due fronti. Il primo sono le politiche di adattamento al cambiamento climatico, istituendo un sistema di allarme precoce per permettere alla popolazione di mettersi in salvo durante le inondazioni che colpiscono il territorio durante la stagione delle piogge e rinforzando le infrastrutture (argini del fiume Congo compresi), tenendo conto dell’aumento dell’intensità degli eventi atmosferici causata dall’aumento delle temperature globali (ad oggi quasi 1,5°C rispetto all’era preindustriale).

Il secondo sono le politiche di contrasto al cambiamento climatico, contro cui gli Stati stanno facendo ancora troppo poco. Le promesse attuali di riduzione dell’emissione di gas serra, principalmente anidride carbonica, sono totalmente insufficienti per contenere l’aumento delle temperature sotto 1,5°C: ci stiamo dirigendo in un territorio inesplorato, poiché nessuno può predire nella loro totalità le conseguenze tragiche che un aumento anche di 2°C potrebbe avere sulla vita dell’uomo e il momento in cui si supererà il punto di non ritorno.

Per questo Extinction Rebellion chiede ai governi di agire immediatamente per bloccare la crisi climatica e accelerare la transizione energetica e sociale.

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