E’ un caso assai particolare, nel pontificato di Bergoglio, lo scandalo degli abusi per cui tra non molto l’ex gesuita – ma ancora prete – Marko Rupnik dovrebbe essere portato dinanzi ad un tribunale canonico. Un caso particolare perché non si tratta di un vescovo o di un sacerdote che ha commesso i suoi crimini in un paese lontano chissà dove, ma di un personaggio famoso, influente, intimo del Palazzo apostolico. Personaggio vicino a tre papi e da loro molto stimato: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco. E’ uno scandalo che investe direttamente il governo del pontefice.

Nel marzo 2020, in seguito ad una improvvisa indisposizione del predicatore pontificio Raniero Cantalamessa, padre Rupnik viene chiamato a tenere la predica quaresimale per i dipendenti della Curia romana. Il 2020 è però lo stesso anno in cui la Congregazione per la Dottrina della fede commina a Rupnik la scomunica latae sententiae per avere assolto in confessione una donna con cui aveva avuto un rapporto sessuale. E’ un tipo di scomunica che si applica a delitti che la Chiesa cattolica ritiene gravissimi e che perciò nella definizione latina è automatica, cioè si realizza nel momento stesso in cui viene commesso il fatto. Naturalmente la scomunica è stata preceduta da una scrupolosa indagine della Congregazione per la Dottrina delle fede.

Miracolosamente la scomunica viene tolta dopo poche settimane. Tutto avviene in modo felpato. Aumm aumm, a bocca chiusa come si dice a Napoli. Il papa non ne sa niente? Chi ha preso la decisione? E’ possibile che nessuno abbia informato il pontefice del delitto e della remissione della massima pena ad un sacerdote-artista, creatore di mosaici che decorano basiliche e santuari di mezzo mondo, da Aparecida in Brasile a Damasco, da San Giovanni Rotondo a Cracovia? Rupnik tra l’altro è autore dei mosaici della cappella Redemptoris Mater in Vaticano, dove si svolgevano abitualmente gli esercizi quaresimali dei cardinali con i pontefici.

Stupisce non solo la non trasparenza che circonda tutta la vicenda, ma anche il fatto che dopo il supposto pentimento del colpevole non vi sia il minimo provvedimento di punizione che possa dare pubblica soddisfazione alla vittima.

La storia non finisce qui. Nel frattempo emergono testimonianze su numerosi abusi sessuali e abusi di coscienza, commessi da Rupnik nei confronti di molte consacrate della Comunità Loyola (fondata in Slovenia negli anni Novanta e oggi avviata allo scioglimento per volontà del Vaticano). E’ un dato di fatto che nel 1993 l’arcivescovo di Lubiana proibisce per sempre a Rupnik di avvicinarsi alla comunità composta di donne. La Congregazione per la Dottrina della fede dichiara tuttavia che i casi, avvenuti trent’anni prima, ricadono sotto la prescrizione.
Tra il 2021 e il 2023 la Compagnia di Gesù, a cui Rupnik appartiene, prende in mano la situazione, sollecitando a farsi avanti chiunque abbia delle denunce da fare. Accertata la solida credibilità deegli episodi denunciati, l’ordine dei gesuiti impone a Rupnik una serie di restrizioni e l’obbligo di scusarsi personalmente con le vittime. Rupnik non se ne cura, anzi celebra ostentatamente messa in una delle più antiche basiliche romane, Santa Prassede.

Il 9 giugno 2023 il generale dei gesuiti, padre Arturo Sosa, decreta l’espulsione dall’ordine di Rupnik. Prontamente l’ex gesuita riesce a farsi incardinare come sacerdote diocesano a Capodistria. E’ accusato di abusi – è stato affermato in una conferenza stampa presso la Fnsi a cui hanno partecipato due ex consacrate della comunità Loyola, Gloria Branciani e Mirjam Kovac, insieme all’avvocata Laura Sgrò – nei confronti di 20 religiose su 41.

Soltanto il 27 ottobre 2023, pressato dal cardinale O’Malley responsabile della commissione vaticana per la tutela degli abusi e da altri prelati statunitensi, papa Francesco ha deciso di derogare alla prescrizione e autorizzare un processo canonico.

Dietro la scarna elencazione delle fasi di questa vicenda, c’è una realtà di manipolazione allucinante che Gloria Branciani – all’epoca studentessa universitaria – descrive con coraggio e drammatica sobrietà. Gli inviti ad alzare la gonna per scoprire le gambe mescolati a frasi sulla Madonna, baci e abbracci pretesi invocando il trasporto con cui un prete bacia l’altare, la spinta a spogliarsi tra confessioni, messe e la pittura di immagini sacre. Alternando nel ruolo ufficiale di confessore e padre spirituale lodi alla tenerezza e insulti all’incapacità e al preteso “egocentrismo” del soggetto manipolato. Evocando la Trinità mentre spinge la vittima ad un rapporto a tre. Ponendosi come amico mentre la trascina in cinema porno alla periferia di Roma. La superiora della comunità viene informata, l’arcivescovo di Lubiana viene informato, il confessore di Rupnik (futuro cardinale Spidlik) viene informato… ma il grande artista viene non viene chiamato a rendere conto. Poi il caso arriva in Vaticano, dove si arena.

Anne Barret Doyle, condirettrice dell’associazione “Bishops Accountability”, che negli Stati Uniti si batte per la trasparenza delle gerarchie ecclesiastiche, ha chiesto che sulla vicenda vergognosa il Vaticano istituisca una commissione di indagine indipendente. L’avvocata Laura Sgrò ha scoperto intanto che il gesuita Rupnik è iscritto al registro delle imprese e aveva creato dal 2007 una sua società per la creazione di mosaici, affreschi, restauro conservativo, corsi di studio specializzati. Quote così suddivise: 90 per cento a Rupnik, 10 per cento a una socia. Di colpo, ora che le acque non sono più calme, la distribuzione delle quote è cambiata: 10 per cento a Rupnik, 90 alla socia. Paura di risarcimenti?

“Non è solo la nostra storia, ma è parte di una storia più grande – sostiene Mirjam Kovac – Quando il muro di gomma è assoluto, diventa difesa di disvalori”. La storia è appena cominciata. E l’epicentro è Roma.

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