I gesuiti lo avevano cacciato nel 2023 parlando di “psicologici e sessuali per oltre 30 anni”. Oggi due donne, considerate tra le vittime di Marko Rupnik, hanno deciso di parlare in pubblico. Mirjiam Kovac e Gloria Branciani , la prima slovena la secondo italiana ex componenti della Comunità Ignazio di Loyola, hanno raccontato la loro storia e gli abusi che sostengono di aver subito dal sacerdote su cui processo lo stesso Papa Francesco era intervenuto per ottenere una deroga sulla prescrizione e far procedere il giudizio. “Ci siamo conosciute in comunità – ha spiegato in una conferenza stampa Mirjam con al fianco Gloria – eravamo tutte ragazze giovani, piene di ideali ma proprio questi ideali insieme alle nostra formazione all’obbedienza sono stati sfruttati per abusi di vario genere: di coscienza, di potere, spirituali, psichici, fisici e spesso anche sessuali. Ci siamo trovate davanti a un muro di gomma – hanno detto-, che il muro si sgretoli”.

Gloria conobbe da giovane studentessa di Medicina a Roma Rupnik che era già considerato un padre spirituale di riferimento. “All’inizio – ha detto – mi sono sentita disorientata, confusa perché Rupnik è entrato nel mio mondo spirituale deformando anche la mia relazione con il Signore, è entrato con l’autorità del padre spirituale, del confessore e anche come garante del carisma della nascente comunità”.

Una storia fatta di abusi, ha detto, ma soprattutto “un vero abuso di coscienza“, in cui dominavano “manipolazione e plagio”, “Rupnik è in grado di manipolare molte persone attorno a sé creando una rete di contesto molto ampia, era un contesto abusante. Sento che è un dovere etico e morale riscrivere la mia storia”. “Ero molto ingenua in quel periodo” ricorda la donna che all’epoca aveva 21 anni. Lasciò la comunità Ignazio di Loyola nel 1993. “Scappai per il profondo senso di angoscia che provavo”, ricorda. “Non volevo più sentire il dolore e il senso di perdita della mia identità”. L’ex religiosa racconta di “abusi fisici, psicologici e sessuali“. Spiega che si tratta di tre aspetti “dell’abuso di coscienza, uno spazio intimo in cui ha origine il nostro mondo”. L’abuso “in questo spazio è devastante. Rupnik è entrato nel mio mondo spirituale e ha deformato il mio rapporto con il Signore”. Branciani chiede “verità e giustizia, senza rivalsa personale. Mi sono perdonata e ho perdonato Rupnik”, assicura la ex religiosa che chiede però “trasparenza” e “riconoscimento pubblico di tutto il male che abbiamo subito nella comunità” Ignazio di Loyola di cui faceva parte.

“Oggi abbiamo raccontato la nostra storia, il nostro desiderio è che venga riconosciuta la verità, il torto che abbiamo subito, che ci sia data anche una visibilità perché noi siamo tante ma ci chiedono il silenzio, di scomparire in qualche modo, ci discreditano e non è più accettabile” aggiunge Branciani rispondendo a una specifica domanda su che cosa voglia dire a papa Francesco proprio oggi, giorno del quinto anniversario del summit sugli abusi sui minori indetto dallo stesso Francesco in Vaticano. Secondo le due ex suore che sono venute oggi allo scoperto, sono circa una ventina le religiose abusate all’interno della Comunità negli anni su un totale di 40 membri.

“Le nostre piccole tessere si stanno legando in un mosaico più grande, non è più solo la nostra storia – ha detto Kovac – Ci siamo trovate dinnanzi a un muro di gomma che rimbalza ogni tentativo di curare questa situazione malsana. È il momento che questo muro di difesa di disvalori si sgretoli”. “Per le violenze sulle suore non esiste censimento” dice l’avvocata Laura Sgrò nel corso della conferenza stampa. Le vittime “non devono perdere la fiducia nella giustizia”, “non devono perdere la speranza di trovare la verità”. E “non devono limitarsi ad andare a chiedere aiuto al vescovo o alla madre superiora. Devono andare a denunciare alle autorità dello Stato. Andate dai carabinieri. Andate alla polizia. Andate da un avvocato, andate dalle procure” perché “chi fa quello che hanno fatto a Gloria deve andare in carcere. Ci deve andare. Quindi dovete avere il coraggio di denunciare. Bisogna squarciare assolutamente questo velo”.

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