Alteravano i controlli al porto di Gioia Tauro per favorire la ‘Ndrangheta. Il Nucleo di polizia economica finanziaria della guardia di finanza ha chiuso il cerchio nell’inchiesta coordinata dalla Dda di Reggio Calabria. Su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, il gip Giovanna Sergi ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare per tre persone. In carcere sono finiti due funzionari dell’Agenzia delle Dogane, Antonio Pititto e Mario Giuseppe Solano. Sono stati disposti i domiciliari, invece, per una dipendente di una società di spedizioni, Elisa Calfapietra.

Tutti quanti sono coinvolti in un traffico internazionale di sostanze stupefacenti aggravato dalle finalità di agevolare la ‘ndrangheta. Un traffico ricostruito nel dettaglio dagli uomini del colonnello Mauro Silvari che hanno dimostrato, nel corso delle indagini, il coinvolgimento dei doganieri arrestati in almeno 5 importazioni di droga, avvenuto tra giugno 2020 e ottobre 2022, per oltre 3 tonnellate di cocaina, delle quali 2,7 intercettate dagli investigatori e sottoposte a sequestro.

Nell’inchiesta sono indagate altre quattro persona: Domenico Cutrì, Giuseppe Papalia, Renato Papalia e Pasquale Sergio. Anche quest’ultimo è un funzionario dell’Agenzia delle dogane che avrebbe aiutato il collega Mario Pititto ad alterare “gli esiti delle scansioni radiogene – si legge nel capo di imputazione – relative ai container di interesse del gruppo, non segnalando le anomalie emerse durante i controlli e consentendo ai container contenenti cocaina di venire ‘svincolati’ ed uscire dallo scalo portuale di Gioia Tauro”.

A dare indicazioni a Pititto e a Sergio sarebbe stato il funzionario Solano. Quest’ultimo, “in servizio presso l’ufficio Antifrode, fino al settembre 2021 quale addetto al ‘controllo scanner’ e successivamente quale addetto alla ‘visita merci’ fungeva da tramite fra il gruppo degli ‘esfiltratori’ e il gruppo dei doganieri corrotti”. Per la Direzione distrettuale antimafia, il doganiere Solano avrebbe garantito “la propria disponibilità, quella dei sodali Mario Pititto e Pasquale Sergio, a svolgere tutte le attività necessarie a consentire ai container contenenti cocaina di superare i controlli e lasciare il Porto di Gioia Tauro”. In sostanza, “forniva indicazioni – scrivono i pm nell’ordinanza di custodia cautelare – sulle metodologie di importazione più vantaggiose per il gruppo criminale, e più difficili da perseguire per l’Ufficio Dogane e per le forze dell’ordine”. Per il tramite dello spedizioniere Domenico Cutrì, infatti, Solano “indicava ai gruppi sudamericani le modalità di carico dello stupefacente più opportune per occultare la sostanza al passaggio allo scanner”.

A mantenere i contatti tra lo spedizioniere e il funzionario dell’Agenzia delle Dogane sarebbe stata Elisa Calfapietra. Quest’ultima “si rapportava in autonomia con Solano, operando numerose visite all’area Doganale dello scalo portuale, finalizzate a realizzare l’alterazione della ‘visita merci’”. Da qui il reato di traffico internazionale di droga. I magistrati non hanno dubbi nel puntare il dito contro i doganieri accusati di far parte di “un gruppo criminale articolato su più livelli, comprensivo di squadre di operatori portuali e doganieri infedeli, dotato di elevatissime disponibilità finanziarie allo scopo di commettere più delitti”. In particolare, quello di “reperire ed acquistare all’estero, importare trasportare in Italia attraverso le navi cargo in arrivo al porto di Gioia Tauro nonché commercializzare ingenti quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina”.

Nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, il gip sottolinea il coinvolgimento dei due doganieri Solano e Pititto “in una pluralità di traffici illeciti di importazione”. Il giudice per le indagini preliminari ha evidenziato, inoltre, “la spavalderia criminale dimostrata” dai due indagati “nel corso delle vicende, che ha consentito loro di agire indisturbati nella alterazione dei controlli e nelle omissioni tese a celare il reale contenuto dei containers pieni di droga”.

Nel motivare l’arresto, il giudice Sergi parla di “materiale probatorio ha anche rassegnato un’allarmante attualità delle vicende associative. Del resto, l’esistenza di rapporti stratificati ormai da anni fra soggetti che operano all’interno di quell’Ufficio e soggetti che gravitano nell’ambito portuale e l’assenza di alcun ripensamento davanti alla massiccia presenza delle forze dell’ordine costituiscono espressione di una protervia criminale che promette il ripetersi di analoghi comportamenti”.

A riscontrare l’attività investigativa della guardia di finanza, negli ultimi mesi, sono state le dichiarazioni di Raffaele Imperiale, il boss della droga campano che ha deciso di collaborare con la giustizia dopo essere stato arrestato nell’inchiesta “Tre Croci” sempre della Dda di Reggio Calabria. “Attraverso il narrato di Imperiale – scrive il gip – si ha conferma di quanto in realtà evincibile dalle conversazioni”. Parlando di un carico partito dal porto colombiano di Turbo, infatti, Imperiale spiega ai pm il connubio criminale con Bartolo Bruzzaniti (altro indagato nell’inchiesta Tre Croci): “Allora, Dottore, – sono le parole di Imperiale – Turbo era di nuovo il periodo di Natale, e io volevo smettere di lavorare con le aziende che venivano contaminate. Lui mi riuscì a convincere e mi disse: ‘Compà, ci sta quest’operazione… abbiamo lo spedizioniere, ci sta anche un doganiere colluso’”.

Il riferimento è a un carico intercettato dalla guardia di finanza e poi è stato sequestrato a Catania in seguito a un’operazione di “consegna controllata”: 1920 panetti per un totale di 2226 chili di cocaina che viaggiavano sulla nave cargo Msc “Giselle” e che i trafficanti hanno di fatto perso: “Noi abbiamo avuto una segnalazione, – spiega Imperiale al procuratore Bombardieri – e l’abbiamo lasciato così il contenitore, non l’abbiamo toccata là…. Noi sapevamo che se avessimo toccato il container, ci avrebbero arrestati tutti quanti, l’abbiamo lasciato passare… che il container era stato segnalato, che ci stavano dei controlli su questo container, che ci stava la polizia che lo stava monitorando, dicevano che era caldo, che era meglio non toccarlo, perché altrimenti ci arrestano tutti. E in effetti loro che fanno? Lo lasciano uscire tranquillamente, come se fosse stata una cosa normale, diciamo…”.

Così è andata effettivamente. E a segnalarlo, secondo la Dda sarebbe stato proprio il doganiere Solano che, intercettato con l’indagata Calfapietra ammette il suo coinvolgimento: “Sì, sono stato io a dirglielo! Li ho salvati… si, si, l’ho bloccato… e l’hanno presa a Catania! Li ho avvisati… sono andati a Catania… gliel’ho detto io: ‘Non andate ché vi arrestano’ Li ho avvisati, gli amici tuoi”.

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