Oltre 2.600 persone in meno rispetto alla pianta organica, tra cui 1.100 ispettori. Non perché non siano stati fatti i concorsi, ma perché gli stipendi sono così poco attrattivi che i vincitori spesso rinunciano all’incarico o se ne vanno dopo pochi mesi. Con il risultato che gli ispettori in attività sono costretti a dividersi tra i sopralluoghi in cantieri e aziende e le attività amministrative. E a complicare il lavoro c’è la riorganizzazione che ha creato 11 Ispettorati di area metropolitana, responsabili non solo di gestire le ispezioni sul territorio ma anche di coordinare gli altri uffici della regione. Potendo contare sulle stesse risorse umane di prima. La strage nel cantiere per la costruzione di un supermercato Esselunga a Firenze ha riacceso i riflettori sui mali dell’Ispettorato nazionale del lavoro, istituito nel 2015 dal Jobs Act con l’ambizione di unificare tutta la vigilanza in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori in un’unica agenzia destinata ad assorbire le competenze di Inps e Inail. Un progetto mai davvero decollato, come a più riprese hanno denunciato proprio gli ispettori.

Risale al 14 febbraio, due giorni prima del crollo che ha ucciso cinque operai, l’ultimo appello dei sindacati del pubblico impiego alla ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone: chiedevano un incontro urgente perché, senza lo stanziamento di nuovi fondi, quest’anno “il salario accessorio del personale sarà dimezzato e gli sforzi fatti sinora per ridare dignità a questa amministrazione saranno stati inutili, con effetti disastrosi anche sull’attività di contrasto all’illegalità e sul controllo della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, anche in relazione all’obiettivo di incrementare il numero delle ispezioni fissato in sede di Pnrr, che si rischia di non raggiungere“. Altro che il +40% di controlli prefigurato domenica dalla titolare del dicastero durante la sua visita al cantiere fiorentino, insomma.

“Al momento non abbiamo avuto risposta”, racconta Matteo Ariano della Fp Cgil. Eppure il salario accessorio non è certo un dettaglio per lavoratori che sono tra i peggio pagati della pa centrale. Lo stipendio tabellare si ferma a 1.600-1.700 euro al mese e ci sono voluti tre scioperi con altissima adesione perché venisse riconosciuta la perequazione per gli anni dal 2020 al 2022 garantita a tutti i dipendenti dei ministeri. E c’è proprio la sproporzione tra competenze richieste e retribuzione dietro l’estrema difficoltà nel reclutare personale, cosa che si cerca di fare da alcuni anni. Nell’aprile 2022, per dire, l’allora ministro Andrea Orlando annunciò l’assunzione di 900 ispettori e l’avvio di ulteriori concorsi che avrebbero dovuto garantire “l’apporto complessivo di 2.480 unità in pochi mesi in aggiunta all’attuale personale di oltre 4mila lavoratori”. Ma oggi gli addetti non sono affatto 6.500: stando all’ultimo Piano integrato di attività e organizzazione, datato 31 gennaio 2024, non arrivano a 5.200 a fronte di una pianta organica di 7.800.

Che cosa è andato storto? Da un lato hanno pesato i pensionamenti (oltre 300 nel 2023, del resto il 55% del personale è over 50), dall’altro la scarsa concorrenzialità dell’offerta economica. Il governo Draghi ha bandito un concorso per 1.249 funzionari tra cui 1.174 ispettori tecnici, quelli che si occupano di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro verificando per esempio se i ponteggi sono a norma e sono state adottate tutte le misure riportate dal documento di valutazione dei rischi. Ma nei ranghi dell’amministrazione ne sono entrati meno di 700: infatti il Piano segnala ancora un gap di 603 unità. “Il fatto è che il concorrente tipo non è un più un single neolaureato”, spiega Ariano. “Parliamo di persone di 45-50 con famiglia, che di sicuro non si trasferiscono in una provincia del Nord Italia per quello stipendio”. Molti insomma, avendo fatto altri concorsi, hanno optato per offerte migliori. E non mancano i funzionari assunti da anni che progettano di partecipare a future selezioni di altre amministrazioni che pagano di più.

Qualcosa di simile era successo con il concorso del 2021 per 1.514 funzionari tra cui 691 posti da ispettore del lavoro, cioè la figura che verifica la regolarità del rapporto, l’utilizzo del giusto contratto, la corretta corresponsione delle buste paga: 270 posti sono ancora vacanti. Ma in questo caso c’è un paradosso: “Molti hanno rinunciato perché non disponibili a trasferirsi al Nord, ma c’è ancora una graduatoria di 500 idonei a cui attingere”, dice a ilfattoquotidiano.it Brunella Caniglia, una di loro, che hanno costituito un comitato per chiedere al governo di assumere tutti fino a esaurimento delle posizioni scoperte. Non sta andando così: il 12 febbraio dopo otto mesi di attesa è stato annunciato uno scorrimento per sole 139 posizioni e solo “per la sostituzione dei vincitori rinunciatari”. Gli idonei temono che l’intenzione sia quella di far scadere la graduatoria, cosa che avverrà tra tre mesi, per poi bandire un nuovo concorso. Ad aggravare il quadro c’è il fatto che chi ha accettato l’incarico “non sempre aveva esperienze pregresse”, dato che a quei concorsi si poteva partecipare con qualsiasi laurea, ricorda Ariano. “Quindi i nuovi entrati hanno avuto bisogno di mesi di formazione teorica e sul campo”: solo ora gli ispettori tecnici assunti nel luglio 2023 stanno iniziando a seguire le prime pratiche in autonomia.

Così il tempo passa e le scoperture di organico, anche tra il personale amministrativo, restano. Gli ispettori devono metterci una pezza e – invece di fare il loro lavoro – dare una mano a smaltire vertenze, conciliazioni, convalide di dimissioni. Quando escono per un’ispezione fanno i conti con i risultati di anni di mancati investimenti in dotazioni strumentali: dalle banche dati che non si parlano all’assenza di un semplice software per l’elaborazione delle buste paga, indispensabile per verificare la correttezza delle retribuzioni corrisposte ai lavoratori e dei contributi pagati. Senza un’inversione di rotta, è evidente che l’aumento delle ispezioni “da circa 70.000 del 2023 a circa 102.000” promesso dal direttore dell’Ispettorato Paolo Pennesi per rispettare gli obiettivi del Pnrr rischia di essere un miraggio. A meno di non concentrarsi sulle piccole attività per fare numero. “Al contrario, per ricostruire una catena di decine di subappalti in un cantiere come quello di Firenze ci possono volere mesi. Così come ci sono voluti mesi per l’attività ispettiva nei confronti delle società di food delivery a tutela dei rider“, avverte Ariano, che è stato a sua volta per anni ispettore. L’impatto sulle vite dei lavoratori, come evidente, è ben diverso.

A preoccupare i sindacati e molti funzionari è anche la riorganizzazione varata lo scorso autunno dallo stesso Pennesi. A partire dalla decisione di attribuire agli Ispettorati di Area Metropolitana competenze in materia di vigilanza tecnica e gestione dei relativi funzionari, che però dipendono gerarchicamente dagli uffici territoriali. “Separare la vigilanza tecnica da quella del lavoro è pericoloso“, chiude il sindacalista. “Non ha senso far uscire un tecnico specializzato nell’edilizia senza nessuno che verifichi se nel cantiere ci sono operai che lavorano in nero”. Che sono anche i più deboli e soggetti a ricatto, certo non in grado di pretendere formazione, dispositivi di protezione e rispetto delle norme antinfortunistiche.

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