La hit del Festival di Sanremo 2024? “Stop al genocidio”! Parole – senza musica – di Ghali. Pochi secondi e queste tre semplici parole inondano la rete e i social. Chi se l’era persa in diretta, corre a cercarle. C’è chi si indigna per l’apparente oscuramento di Rai Play: sul sito quel passaggio dell’esibizione di Ghali non è più visibile. “Prima tagliato, poi integrato”, scrive Fanpage.it.

Pochi secondi e queste tre semplici parole scatenano la reazione scomposta dei rappresentanti di Israele e dell’ultradestra italiana. Alon Bar, ambasciatore israeliano a Roma, con un post su X (ex Twitter) ha fatto sapere di ritenere “vergognoso che il palco del Festival sia stato sfruttato per diffondere odio e provocazioni in modo superficiale e irresponsabile”.

Bar ha trovato immediato appoggio in uno dei più “mediatici” esponenti dell’ultradestra di governo, Maurizio Gasparri (Forza Italia): “I vertici della Rai si scusino con le autorità di Israele e attuino interventi riparatori”. Ma anche in alcuni “progressisti” del Pd, come l’ex comunista Piero Fassino, che si è affrettato ad accodarsi: “Sconcertante che in un evento musicale come Sanremo 2024 nessuno abbia ricordato [il massacro di Hamas], mentre non è mancato chi ha usato la parola genocidio contro Israele”.

E si capisce perché quella di Ghali sia la vera hit del Festival.

Perché ha avuto il coraggio di pronunciare la parola “proibita”: genocidio. E tutti hanno capito che si stesse riferendo a Israele e a quel che sta commettendo a Gaza davanti agli occhi del mondo e con la complicità dei governi occidentali. Più di 28mila i palestinesi uccisi a oggi, di cui almeno 13mila i minorenni. E un progetto di pulizia etnica perseguito senza tentennamenti e che ora mira a espellere gli 1,3 milioni di palestinesi rifugiati a Gaza, fino a oggi spacciata da Tel Aviv come luogo sicuro per i palestinesi.

La parola che da mesi si urla nelle piazze di tutto il mondo, che corre sulla bocca di milioni e milioni di persone ma che è tabù per il potere costituito. Guai anche solo a pronunciarla.

E perché “Stop al genocidio” è arrivato nel momento di picco dell’evento televisivo dell’anno: la finale del Festival di Sanremo con 15 milioni di italiani incollati allo schermo, il 74% dello share. Tre italiani su quattro. E, visto che non si parla d’altro, al lavoro, a scuola, nel quartiere, alla radio o in altri programmi tv, l’altro uno su quattro è come se l’avesse vista. La scelta del tempo, in politica, è chiave. E Ghali non poteva scegliere tempismo migliore.

Non è un caso che il muro di silenzio innalzato dal potere politico e mediatico sia crollato grazie a un’irruzione “dal basso” e non per gentile concessione. La Palestina – altra parola “proibita”, anche a Sanremo – per i vertici Rai non “meritava”, infatti, alcuno spazio.

Altra storia rispetto a quell’Ucraina che nell’edizione 2023 era salita più e più volte sul palco, tra abiti degli ospiti che richiamavano la bandiera nazionale di Kiev, esibizioni di band impegnate sul fronte della guerra con la Russia e addirittura la lettera del presidente Zelenski letta in diretta da Amadeus.

Detto altrimenti, la Palestina non doveva esistere. Invece è stato IL tema, che ha sopravanzato tutti gli altri, anche quelli di stringente attualità (vedi alla voce “trattori”). E il coraggio di Ghali è stato contagioso, se è vero che anche chi finora mai aveva osato usare quella parola e ora, d’improvviso, inizia a farla propria. Come il segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni. È la dimostrazione che per trascinare serve coraggio. Quello che manca anche a chi dovrebbe costituire l’alternativa.

Pochi secondi e tre semplici parole e oggi Ghali costringe un intero Paese a fare i conti con ciò che avviene a Gaza in termini reali e non in quelli falsati dalla propaganda israeliana, ripetuta pedissequamente dai media occidentali, fake news incluse. “Costringe” i vertici Rai a una penosa lettera di scuse, scritta dall’amministratore delegato Sergio e letta in diretta da Mara Venier. Un tentativo di censura ex post che non chiude la storia. Tutt’altro. Contribuisce anzi a confermare quanto sostengono i movimenti di solidarietà con la Palestina: il potere mediatico è complice dei crimini di Israele. È, in effetti, la “scorta mediatica” del genocidio in corso a Gaza.

Ma perché Ghali – come Dargen D’Amico e Fiorella Mannoia – ha sentito il “bisogno” di rivendicare la fine del genocidio? C’è sicuramente una sensibilità personale. Elemento necessario, ma non sufficiente. Anche perché la sensibilità è qualcosa che si forgia a contatto con la realtà, col mondo “di fuori”.

Sono la resistenza del popolo palestinese e la mobilitazione popolare internazionale ad aver costruito una sensibilità individuale e collettiva, “spingendo” alcuni artisti a parlare di Palestina a Sanremo, così come avevano “spinto” il Sudafrica a denunciare Israele per genocidio. Sono i popoli che scrivono la storia, dimostrando che la mobilitazione ha la capacità di produrre agenda politica, mediatica e finanche sanremese.

L’irruzione di Ghali a Sanremo e l’abbattimento del muro del silenzio intorno al termine genocidio offrono uno spazio di possibilità per i movimenti politici e sociali in solidarietà col popolo palestinese. Chissà che non possa essere lo stimolo che serviva per escludere Israele dalla prossima edizione dell’Eurovision, in programma a maggio in Svezia, e impedire che “la sua partecipazione serva a ‘ripulire’ la pulizia etnica e i crimini di guerra che il Paese mette in atto in Palestina”, come richiesto da Podemos in Spagna.

Lo scenario della lotta non è solo Gaza, ma il mondo intero. La fine del genocidio, infatti, necessita di una soluzione politica. Per arrivarci serve che la rivendicazione di “Stop al genocidio” si tramuti in forza materiale. La denuncia del Sudafrica, la decisione della Corte Internazionale di Giustizia, le parole di Ghali a Sanremo, sono tutti strumenti che devono “armare” le mani di chi scende in piazza, di chi partecipa alla campagna BDS, di chi disputa gli spazi della “guerra mediatica”.

A Sanremo, grazie a tre semplici parole e pochissimi secondi, la lotta di liberazione del popolo palestinese ha segnato un punto a suo favore sul fronte della “guerra del racconto”. Ora smettiamola di chiedere agli artisti di fare qualcosa che non è il loro “core business” e mettiamoci noi, coi nostri corpi e con le nostre intelligenze, a operare per far cessare il genocidio e rafforzare la prospettiva di liberazione del popolo palestinese.

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Sanremo 2024, Dargen D’Amico bacia Gabriele Cirilli a Domenica In e Mara Venier interviene: “Non voglio guai”. Poi ci ripensa e reagisce così

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