La Serie A aveva già deciso da tempo. Adesso ha pure votato: si resta a 20 squadre, di scendere a 18 i presidenti non ci pensano nemmeno. O meglio, le quattro big (cioè Milan, Inter, Juventus e Roma) sarebbero pure favorevoli, l’hanno detto al presidente della Figc, Gabriele Gravina, che lavora alla riforma, e oggi l’hanno ripetuto pure in assemblea, schierandosi contro. Ma la maggioranza ha le idee chiare, e la votazione schiacciante è servita a ribadirlo e a lanciare la sfida alla FederCalcio: la Serie A vuole decidere da sola il suo futuro. Messaggio chiarissimo per il presidente Gravina.

È l’ennesima presa di posizione nell’accidentato percorso sulla via della riforma del calcio italiano, che sta entrando nel vivo in queste settimane. Il Fatto Quotidiano ha svelato in esclusiva il piano elaborato da Deloitte per la Figc, che contiene tutte le proposte che ha in mente il presidente Gravina, tra cui taglio delle squadre professionistiche in Serie C, riduzione delle retrocessioni con un nuovo meccanismo di playoff integrati fra categorie, controlli finanziari più stringenti. Adesso l’assemblea della Serie A ha approvato un altro documento: il suo. In realtà, a parte qualche punto qua e là, i due piani non differiscono nemmeno troppo nei contenuti. Quella fra Lega e Figc, più che una differenza di vedute, sta diventando una questione di potere, una battaglia di leadership: chi comanda nel calcio italiano?

Rivendicazione storica dei club, i patron della Serie A vogliono contare di più, e non basta l’aumento di peso politico che Gravina sarebbe pure pronto a riconoscere. Se ci sarà una riforma, la Serie A vuole scriversela da sola, trattando direttamente dal governo, senza subirla dalla FederCalcio. Si parla di autonomia. E infatti l’altro punto su cui si è espressa l’assemblea di Lega è il mantenimento del principio d’intesa, cioè il veto che ogni componente ha su modifiche statutarie. Ciò che di fatto ha impedito fino ad oggi di adottare qualsiasi riforma strutturale del sistema e che la Figc vorrebbe rimuovere per decidere a semplice maggioranza. Proprio per far ciò, Gravina ha convocato l’assemblea federale straordinaria dell’11 marzo.

Qui si inserisce il format, il tema più mediatico e divisivo della riforma. Benché nel piano di Deloitte si parli ancora di 20 squadre (troppo rischioso imporre apertamente la sforbiciata), la Figc punta sulla riduzione gradita alle big per spaccare la Serie A, e avere i numeri per rimuovere il veto e procedere con la riforma. Al momento a favore di un campionato a 18 potrebbero esserci forse 5-6 squadre, interessate a snellire il calendario e aumentare la competitività del torneo: Inter, Juve, Milan e Roma, appunto; il Napoli di De Laurentiis, la Fiorentina di Commisso, forse persino la Lazio di Lotito potrebbe convergere nel merito, ma non certo a livello politico per fare un favore a Gravina. Contro tutte le altre, che temono di incassare meno dai diritti tv e perdere due posti nella massima serie. Impossibile, insomma, toccare i 14 voti che servono per cambiare il format con le regole attuali, ma dividere la Lega sarebbe il viatico per Gravina per andare fino in fondo con l’assemblea straordinaria, ad oggi ancora in bilico (il presidente federale non può rischiare di andare alla conta e perdere, a quel punto dovrebbe dimettersi).

Nella battaglia di potere sulla riforma del calcio italiano, al momento sembrano delinearsi due scontri a due livelli differenti: uno fra Figc e Serie A, e l’altro all’interno di quest’ultima fra grandi e piccole. La votazione odierna dimostra però che il fronte in Lega Calcio guidato dal presidente Casini è ancora compatto, molto più di quanto ci si potesse aspettare. Così aumentano le probabilità che i blocchi finiscano per annullarsi fra loro e non cambi nulla. Come sempre.

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