“Le crisi socioeconomiche e le nuove contraddizioni sociali hanno allontanato dal mondo del lavoro una fascia sempre più ampia di persone con disabilità, amplificandone la fragilità sociale“. L’analisi è di Marino Bottà, autore de “L’inclusione lavorativa delle persone con disabilità. Metodi e strumenti per l’accompagnamento, l’inserimento, la valutazione” (Edizioni Erickson). Che mette sotto accusa quella che è una lacuna nota da anni e sulla quale nessuno vuole intervenire. “L’attenzione di politici, legislatori e amministratori è perlopiù limitata all’integrazione scolastica e all’assistenza economica, mentre è del tutto assente un piano sociale strategico sull’accompagnamento alle professioni”. Il manuale passa in rassegna ruolo e funzioni di associazioni, servizi e, tra le varie cose, approfondisce anche la figura ancora poco nota del Disability job supporter.

L’autore, intervistato da ilfattoquotidiano.it, parla della situazione del nostro Paese ritenutaampiamente insoddisfacente e non in linea con gli standard Ue”. Bottà è uno dei principali esperti italiani con esperienza quarantennale nel campo del diritto al lavoro per tutti. Di recente è stato chiamato dalla ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli nel ruolo di coadiutore nel gruppo che si occupa delle politiche del lavoro inclusivo all’interno dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, massimo ente con funzioni consultive e di supporto tecnico scientifico ai governi sulle disabilità. Tra le varie cose, nel 2021 ha contribuito a fondare l’Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro (Andel) di cui è direttore generale.

Quando nasce il progetto di scrivere questo libro?
Non è stata una mia idea. Sono stato sollecitato da moltissimi studenti universitari che si rivolgevano a me per avere una bibliografia sul tema dell’inclusione socio-lavorativa delle persone disabili. Il repertorio purtroppo è particolarmente povero e non sapevo cosa consigliare.

Quali sono i principali temi analizzati?
Dopo un excursus storico incentrato sui vissuti comuni dal dopoguerra in poi, faccio una fotografia dello stato dell’arte, per poi soffermarmi sugli aspetti normativi che regolano il sistema del collocamento in Italia.

A che pubblico è rivolto?
A chiunque sia interessato a comprendere come funziona il collocamento e come ragionano e agiscono i vari soggetti sociali coinvolti. In primis parlo agli operatori del settore, educatori, tutor, Disability Manager, insegnanti di sostegno, oltre alle persone con disabilità e alle loro famiglie.

Perchè è fondamentale creare opportunità di occupazione inclusiva?
Perché la disabilità permette di comprendere la ricchezza della diversità e la necessità di vivere in una società a misura d’uomo. La diversità è sempre ricchezza e progresso. Inoltre l’inclusione lavorativa, oltre al benessere della persona, favorisce il contenimento della spesa pubblica e trasforma la persona disabile in contribuente nel momento della sua assunzione.

Cosa si può fare per migliorare la situazione italiana?
Serve subito la riforma della legge 68/99 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” e una radicale trasformazione degli uffici burocratico-amministrativi del collocamento disabili in servizi per l’inclusione lavorativa efficienti ed efficaci.

I dati Istat dicono che in Italia circa solo 1 persona con disabilità su 3 ha un contratto di lavoro. E’ possibile fornire qualche altra informazione?
Non possiamo dare dati specifici in merito alla situazione occupazionale delle persone disabili, in quanto molti dati sono obsoleti e altri sono inattendibili. Manca una banca dati nazionale che faccia un quadro dettagliato e aggiornato anno dopo anno. Purtroppo ogni riflessione e programmazione si basa assurdamente su statistiche imprecise e vecchie o in alternativa sul percepito. Certo che nell’era dell’informatica, questa situazione è incomprensibile.

Quali sono le figure assegnate alle categorie protette più richieste dalle aziende?
Sono i lavoratori con un’età non superiore ai 24 anni e con almeno dieci anni di esperienza. Al di là della battuta, le aziende ricercano il disabile-abile, quel tipo di lavoratore che non trovano sul mercato. Purtroppo solo la presenza di un mediatore-supporter preparato può favorire l’inserimento di persone con disabilità con poca esperienza lavorativa e un’inadeguata formazione.

Può spiegare ai non addetti ai lavori che figura è quella del Disability job supporter?
E’ un passeur della persona con disabilità al lavoro. E’ una figura professionale in grado di gestire la transizione scuola-lavoro, i percorsi di accompagnamento al lavoro, i progetti aziendali personalizzati per l’assolvimento degli obblighi di legge, la presenza del lavoratore disabile in azienda e i rapporti con i servizi territoriali interessati.

Le aziende conoscono tale figura?
Non a sufficienza. Il termine è stato coniato tre anni fa con la nascita dell’associazione Andel, che ho fondato con il prezioso supporto di un gruppo di genitori. Le cose potranno cambiare con la prossima pubblicazione di una nostra newsletter e delle azioni di marketing sociale che stiamo promuovendo.

E’ stato scelto di recente come coadiutore per l’inclusione lavorativa all’Osservatorio nazionale delle persone con disabilità. Quali sono le cose che vorrà realizzare?
Avviare l’urgente riforma della legge 68 e del sistema di collocamento disabili. Nel frattempo apportare correttivi e proposte volte a creare servizi per sostenere famiglie e imprese, favorire l’inclusione lavorativa con supporti alle aziende impegnate in un compito così complesso.

Ha degli obiettivi da compiere nei prossimi mesi di lavoro?
L’Osservatorio si riunisce quasi ogni settimana e vorrei portare una maggiore attenzione verso la disabilità più fragile. Attivare correttivi, provvedimenti, progettualità, per favorire l’inclusione socio-lavorativa dei più emarginati.

C’è un aspetto in particolare che desidera evidenziare?
Vorrei che le conquiste fatte dal dopoguerra in poi non fossero cancellate. La crisi dello stato sociale impone un welfare di prossimità. Dobbiamo convincerci che ogni fragilità non appartiene solo ai singoli e alle loro famiglie ma alla società intera. Mi preoccupano però il disinteresse, la superficialità e la passività sociale che ci sta avvolgendo. Temo un ritorno ad un futuro medioevo. E, di solito, le persone disabili sono le prime a essere colpite e penalizzate.

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