In Italia l’88% delle famiglie con persone con disabilità a carico ha difficoltà ad arrivare a fine mese, 6 su 10 non sono in grado di affrontare una spesa improvvisa di 500 euro, quasi due su tre non possono permettersi neanche una settimana di vacanza all’anno. Più del 40% si sono trovati in arretrato con il pagamento delle bollette, 1 su 5 ha avuto difficoltà a comprare persino il cibo necessario al sostentamento della propria famiglia, quasi 1 su 3 non ha avuto soldi nell’ultimo anno per le spese mediche. Le percentuali del disagio si aggravano soprattutto se la persona con disabilità vive nel Sud, oppure se i genitori sono giovani, il livello educativo è basso o non fanno parte di una rete di associazioni che tutelano i diritti delle persone con disabilità. È la pesantissima situazione fotografata dal primo rapporto intitolato “Disabilità e povertà nelle famiglie italiane”, condotto da CBM Italia – organizzazione umanitaria impegnata nella prevenzione e cura della cecità e della disabilità e nell’inclusione delle persone con disabilità nel Sud del mondo e in Italia – insieme alla Fondazione Emanuela Zancan Centro Studi e Ricerca sociale. I due enti hanno indagato analiticamente il legame tra condizione di disabilità e impoverimento economico e culturale. La ricerca è stata presentata il 31 gennaio presso l’Archivio storico della Presidenza della Repubblica. Nel nostro Paese non esiste un Registro nazionale sulla disabilità con dati, statistiche e informazioni sul tema. Secondo gli ultimi dati Istat (2021), in Italia ci sono circa 3 milioni di persone con disabilità e 5,6 milioni di persone in povertà assoluta (2022). A livello europeo l’indagine Eurostat 2022 evidenzia come in Italia il 32,5% delle persone con disabilità sono a rischio povertà più delle persone senza disabilità (22,9%).
La ricerca che mette in correlazione la disabilità e la povertà delle famiglie in Italia – Il campione della ricerca, costruito con l’aiuto di numerose associazioni che hanno permesso di entrare in contatto con famiglie in tutta Italia, è costituito da 272 persone a cui è stato sottoposto un questionario. Sono persone che vivono in famiglia, 9 su 10 con cittadinanza italiana, di età compresa tra 14 e 55 anni, in una situazione di disagio socioeconomico. Dal punto di vista dell’istruzione, il 45% è in possesso di licenza media superiore. “Negli ultimi 4 anni abbiamo rivolto il nostro lavoro anche in Italia con interventi che mirano all’inclusione e al rispetto dei diritti delle persone con disabilità, in linea con la Convenzione delle Nazioni Unite, nostra fonte di ispirazione” spiega a ilfattoquotidiano.it Massimo Maggio, direttore di CBM Italia. “Ci siamo chiesti quale sia la portata del legame tra disabilità e povertà anche nel nostro Paese. Da qui l’idea di questa ricerca sociale”.
“Manca l’inclusione lavorativa e c’è un estremo bisogno di servizi ‘umanizzati'” – La ricerca evidenzia la grande necessità di ricevere servizi di vario tipo e di qualità a casa. Dalle interviste effettuate, emerge che solo l’11% ha ricevuto prestazioni sanitarie gratuite a domicilio del Servizio sanitario, solo il 21% ha beneficiato di servizi d’assistenza a casa da parte del Comune come pasti, igiene personale, pulizia della casa. “Tra gli aiuti richiesti, 9 su 10 non sono contributi economici bensì servizi ‘umanizzati’ non standardizzati, sia per la persona con disabilità sia per i familiari, che siano in grado di mettere la persona al centro, per una presa in carico globale e realmente aderente ai bisogni” continua Maggio. L’altro grande problema emerso è la mancanza di inclusione lavorativa per le donne e uomini con disabilità. Solo il 16% ha ricevuto un aiuto per l’inserimento professionale. L’inclusione sociale infatti si realizza anche attraverso quella lavorativa. Lo studio sottolinea come il disagio lavorativo riguardi in particolare le persone che vivono al Sud e nei contesti più svantaggiati dal punto di vista socioculturale. Il 38% è inabile al lavoro (quota che sale a 46% al sud) e il 27% è disoccupato; il 34% (21% al sud) ha ottenuto l’accertamento della disabilità per il collocamento mirato, ma il 51% non ha mai presentato neanche la domanda (percentuale che sale al 65% al sud e al 60% tra chi vive in famiglie con basso livello educativo). Una persona su 5 chiede in modo esplicito maggiori opportunità lavorative e formative sia per sé che per i propri familiari. Inoltre il carico di cura è considerato un ostacolo all’occupazione, con pesanti ricadute sul piano economico della famiglia, per questo è necessario favorire politiche di sostegno alla conciliazione tra i tempi lavorativi e di cura.
“I caregiver famigliari svolgono un ruolo fondamentale. Il disagio sociale e l’isolamento sono più opprimenti della mancanza di sostegni economici” – Ci sono poi informazioni importanti anche sulla figura dei caregiver (assistenti personali delle persone con gravi disabilità) che in Italia ancora non sono riconosciuti a livello giuridico-legislativo e non beneficiano di sostegni psicosociali e tutele previdenziali. Dalle interviste emerge che il 60% dei caregiver sono le madri degli assistiti, uno su tre sono i padri, il 22% sono fratelli o sorelle, solo uno su dieci dei caregiver è un assistente esterno alla famiglia stipendiato per il servizio di cura alla persona. Altri aspetti interessanti della ricerca sono che ben il 44% degli intervistati frequenta un Centro diurno, probabilmente per l’assenza di alternative di qualità come i progetti di Vita indipendente. “Da anni parliamo di quanto debba essere sostenuto e alimentato il protagonismo delle persone con disabilità”, aggiunge il direttore di CBM Italia. “Il risultato della nostra ricerca va ancora in questa direzione: le voci delle tante famiglie che abbiamo ascoltato ci confermano che il disagio sociale e culturale è più opprimente di quello economico. I servizi umanizzati che vengono richiesti – conclude Maggio – devono entrare nel progetto di Vita indipendente delle persone, per questo dobbiamo pensarli partendo dal riconoscere le risorse ed evidenziare il valore delle famiglie, per ridurre lo stigma e creare opportunità di inclusione. Per affrontare e favorire il ‘durante e dopo di noi’ affinché diventi “con noi’”.