Lascio ad altri valutare se si tratti o meno di greenwashing. Non sarebbe la prima volta per Eni. Ha fatto la storia nel 2020 la sentenza con cui Agcm l’ha multata per 5 milioni di euro per uso improprio del termine “green”. Chi poi avesse voglia di lanciare una ricerca (provate su DuckDuckGo) con le keyword “Eni greenwashing”, troverebbe questo mondo e quell’altro. Qui mi soffermo sulla qualità della narrazione pro-gas fossile. Avendo in mente testi come Merchants of doubt o The New Climate War che insegnano come riconoscere e smascherare le tattiche che prima Big Tobacco e poi Big Oil hanno usato per imprigionarci nel loro Truman Show.

Giorni fa su Twitter (ops, X) mi imbatto in un tweet sponsorizzato, questo. Poi lo ritrovo, qui. L’account è quello di FT Partner content, il content è di Eni. Cosa dicono quei tweet? Il primo: “Il numero di persone senza elettricità è in aumento a livello globale. Leggi perché il gas naturale può essere la risposta”. Il secondo: “Muoversi troppo velocemente con le rinnovabili è rischioso. Il percorso verso la decarbonizzazione deve includere il gas naturale”. Stento a crederci. Leggo e rileggo i tweet, poi l’articolo, qui. Mi chiedo: siamo ancora a questo livello? Sì. Imbarazzante.

Dal testo prendo fior da fiore, per motivi di spazio. Ma si potrebbe con facilità demolirlo, e con dovizia di riferimenti. Che poi è quanto fatto dalle centinaia di tweet inviati in risposta, parecchi con fonti a supporto: uno spernacchiamento generale, tra l’altro quasi più rivolto a FT, per aver ospitato quel contenuto, che a Eni. E questo dice tanto.

Partiamo dall’immagine, che si sa vale più di mille parole. Il testo è un peana al gas fossile, ma cosa si mostra? Maestose pale eoliche su un bosco verdeggiante. Non gasdotti. Non methane leaks fotografati a raggi infrarossi. Non “aree di sacrificio” devastate dall’estrazione del gas, magari col fracking. Si parla di fossili, ma si mostrano le rinnovabili.

Poi: il solito, abusatissimo tasto delle rinnovabili in “fase nascente”. Sono le stesse rinnovabili che macinano record un po’ ovunque quanto a nuova capacità installata, investimenti, crollo verticale dei costi per effetto della learning curve, con previsioni che da anni affermano che “The Sky’s the Limit” e con COP28 che chiede di triplicarne globalmente la capacità (mentre Eni, dice Oil Change International, nel 2022 ha investito in fossili 15 volte quello che ha investito in rinnovabili)? Sì. Ma qui, poverine, è solo il buon vecchio gas fossile che può dar loro il tempo di crescere. E pazienza se IEA già dal 2021 ha detto stop a nuovi giacimenti fossili per rispettare gli obiettivi net zero (mentre Eni è coinvolta nello sfruttamento di alcune delle oltre 400 carbon bombs nel mondo che potrebbero abbondantemente sfondare il carbon budget rimasto).

E ancora: il mantra del combustibile di transizione. Ebbene sì, ancora si propina ‘sta storia vecchia come il cucco, quando stratificazioni di studi hanno chiarito che non c’è trippa per gatti. Cercare con le keyword “gas bridge fuel false” o “gas bridge fuel myth”: uscirà uno tsunami di fonti. Ne cito una: “Fossil gas: a bridge to nowhere”.

Altre cosette in ordine sparso: dice che bisogna fare una decarbonizzazione graduale, altrimenti saranno le sette piaghe d’Egitto; invece la crisi climatica che avanza by the hour e fa paura, il 2023 anno più caldo di sempre, i record su record della CO2 in atmosfera, delle temperature degli oceani ecc. ecc., tutto questo – manco menzionato – non provoca già ora disastri immani e miliardate di danni: è gestibile, evidentemente, con un “approccio bilanciato alla crisi climatica”. Dice meraviglie del CCS, sul quale anche ci sono tonnellate di critiche, le più gentili lo bollano come distraction: Faith Birol, direttore di IEA, di recente l’ha definito una fantasia che non può garantire a Big Oil la licenza sociale ad operare. Dice anche che una transizione graduale può permettere di accelerare il percorso verso la sostenibilità: andare piano per accelerare, insomma, con buona pace della logica. E poi dice che il modello di business è pensato come un “sistema satellitare” (?) per attrarre investitori che guardano alle rinnovabili ma anche a gas e petrolio. Con buona pace, stavolta, di Guterres, secondo il quale investire in nuove infrastrutture per i combustibili fossili è una follia morale ed economica.

Dove sta l’ottima notizia? Nel fatto che se la narrazione pro-gas fossile è rimasta a questo livello, significa che il re è nudo, Big Oil ha le spalle al muro: deve vendere il gas mostrando pale eoliche, dire che per andare veloce si deve andare piano, che si decarbonizza con una fonte fossile (che deve essere a sua volta phased out). E soprattutto che il gas fossile, quello che va estratto là dove sta, chiudendo gli occhi sul regime di turno, e che di solito ha bisogno di pipeline da migliaia di chilometri, da costruire magari disboscando e devastando regioni intere, lungo le quali in tanti possono svegliarsi al mattino un po’ storti e chiudere il rubinetto per ricattare interi Paesi, vuol dire sicurezza; non sole e vento, che madre natura offre gratis e in pratica ovunque, perché quelli signora mia sì che son rischiosi!

La fine delle fossili non è questione di se, ma di quando. Lo sanno tutti, Big Oil in testa, che sta disperatamente cercando, ancora, di ritardare la sua fine. Ma non sa più come raccontarlo o, forse, raccontarselo: è lost in transition. Per il resto del mondo, un’ottima notizia!

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