Mentre siamo portati a credere che le questioni politiche riguardino, che so, l’alternativa tra Fdi di Giorgia Meloni e il Pd di Elly Schlein o, a livello internazionale, fra Joe Biden e Donald Trump, oppure mentre prendiamo posizione a favore della Russia o dell’Ucraina invece che di Israele o della Palestina, per quanto concerne i conflitti nell’ambito geopolitico, siamo completamente all’oscuro di un fenomeno strutturale che governa in maniera sempre più pervasiva sia i soggetti politici di cui sopra sia le nostre posizioni rispetto agli stessi.

Tale fenomeno può essere chiamato “governance algoritmica” ed essere descritto nel modo seguente: sono gli algoritmi a profilare i nostri gusti e le nostre inclinazioni (attraverso il costante monitoraggio delle attività che svolgiamo sul web), a prevedere cosa potrebbe interessarci di vedere (e quindi farcelo vedere, escludendo arbitrariamente altri contenuti), a decidere quali contenuti appariranno o meno sui nostri schermi, tenendo presente che mai come oggi è vero l’assunto di Debord secondo cui “ciò che non appare non esiste”.

A fronte di tutto questo, come scrive Simona Tiribelli nel suo Moral Freedom in the Age of Artificial Intelligence (Mimesis International, pp. 30 e 31), risulta sempre più evidente – ma soltanto agli addetti ai lavori – il potere sociale e politico della governance algoritmica, che ormai “plasma, permette o blocca l’accesso a informazioni che determinano quali opinioni sono per noi disponibili e, per converso, quali non devono esserlo”.

Il punto è che in un’epoca in cui le persone si informano, studiano, ascoltano discorsi politici, ideologici e culturali, incontrano altri individui, fanno acquisti, ascoltano musica o vedono film etc., attraverso l’intermediazione esclusiva delle tecnologie digitali, quel lavoro nascosto di profilazione e filtraggio svolto dagli algoritmi diventa il vero e proprio dark power esercitato sulle vite di tutti noi e sulle società che abitiamo.

Se la definizione politologica di potere totalitario ce lo descrive come capace di infiltrarsi nella sfera privata dei cittadini, fino a stabilirne il modo di pensare e di agire, i valori in cui credere e gli scopi per cui operare, allora dobbiamo sapere che ci troviamo di fronte al potere totalitario per eccellenza, che per di più opera attraverso una logica e per conto di interessi che sono esclusivamente tecno-finanziari e votati al profitto economico. Non è l’unica caratteristica di queste nuove tecnologie digitali, le cui potenzialità e pregi non si finirebbe mai di riconoscere e approvare, ma è senz’altro il più pericoloso per le nostre democrazie e per le capacità cognitive dei cittadini che le abitano.

Sì, cognitive, se è vero che soprattutto i più giovani (ma non solo) non possono più fare a meno di ricorrere in continuazione alle tecnologie digitali, affidandosi ad esse per imparare, informarsi, creare pensieri o contenuti, conoscere e interagire con altre persone. Il guaio è che sono tecnologie – per riprendere le parole del celebre linguista Noam Chomsky – “bloccate a una fase pre-umana o non-umana dell’evoluzione cognitiva. Il loro difetto più profondo è l’assenza della principale capacità critica di ogni intelligenza: dire non solo cosa è, era o sarà vero (la capacità predittiva e descrittiva), ma anche cosa non è vero, cosa potrebbe o non potrebbe esserlo (cioè la capacità di spiegazione, il marchio di una vera intelligenza)”.

Qui emerge un punto centrale che va compreso bene: cioè non quanto l’Intelligenza artificiale sarà in grado di eguagliare quella umana (un mito sfatato da tempo dagli stessi guru del settore), ma quanto riuscirà a degradare l’intelligenza umana, a renderla simile a sé e, dopo averla prosciugata, a sottometterla e schiavizzarla (come del resto esplicitamente dichiarato dai teorici del transumanesimo).

Hanno un bel da fare le nostre scuole a insegnare il pensiero critico, quando gli strumenti di gran lunga più utilizzati dai ragazzi sono quelli che plasmano le loro menti funzionando in maniera tale da distruggere proprio quel pensiero critico e imporne uno di tipo esclusivamente descrittivo e predittivo. Anche qui ci troviamo di fronte al sogno di ogni potere totalitario: governare su cittadini le cui menti hanno smarrito ogni capacità critica, creativa e divergente. Albert Einstein sosteneva che “la creatività è l’intelligenza che si diverte”, ma noi stiamo assistendo nell’indifferenza generale alla degradazione di ogni creatività e ogni intelligenza, ormai lasciate alla sola azione degli algoritmi. Mentre per “divertirci” ci rimane il Festival di Sanremo e poco altro…

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