Il governo Meloni ha deciso che per la prima volta non rinnoverà l’obbligo per le stazioni appaltanti di pubblicare gli estratti dei bandi di gara sui quotidiani (due nazionali, uno locale). È la cosiddetta “pubblicità legale” frutto di una normativa antiquata ma anche un sussidio al settore in anni di difficoltà: nel 2023 è valsa 45 milioni, cioè circa il 12% degli introiti pubblicitari dei quotidiani.

Ogni anno questa forma di sussidio ai giornali viene prorogata nel decreto Milleproroghe di fine anno ma per la prima volta il governo di destra ha deciso di non farlo. Il motivo ufficiale è che il ministro degli Affari Europei Raffaele Fitto è contrario: la digitalizzazione delle procedure di gara, infatti, è stata inserita nel nuovo codice degli appalti e rappresenta una delle riforme “qualificanti” per incassare una rata del Pnrr. Con le nuove regole gli appalti vanno inseriti nella banca dati nazionale dei contratti pubblici gestita dall’Anac. Il motivo politico però è più semplice: in queste settimane Palazzo Chigi non ha un buon rapporto con i quotidiani (esclusi quelli di centrodestra) e ha colto l’occasione per chiudere uno dei tanti rubinetti che finiscono per finanziare le aziende editoriali.

Una posizione che ha portato il governo a sconfessare anche alcuni parlamentari di maggioranza che avevano chiesto di prorogare per un anno la pubblicità legale: tra questi anche la Lega, Forza Italia e soprattutto Fratelli d’Italia, il partito della premier Meloni. Le proposte erano chieste a gran voce dalla Fieg (la Federazione Italiana Editori Giornali) ma erano stati presentati anche con il consenso del governo che voleva mandare un segnale preciso agli editori: il potere di aprire e chiudere il rubinetto dei finanziamenti ai giornali a suo piacimento. Ma alla fine non c’è stato niente da fare: nella riunione di maggioranza di martedì mattina sia Palazzo Chigi che il ministero delle Infrastrutture (che ha curato e fatto approvare a marzo il codice degli appalti) hanno dato parere negativo agli emendamenti che prorogavano la “pubblicità legale” anche per il 2024.

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