Mi sono scoperto liberista; è giusto che il mercato regoli lo stato delle cose, basandosi sulla legge della domanda e dell’offerta. Se metto in vendita il mio gatto per un milione e non trovo chi mi dà quel milione, devo abbassare il prezzo fino a quando la mia offerta incontra la domanda.

Il mercato prevede che il valore delle cose (ma sarebbe meglio dire: il prezzo) si basi sulla volontà di pagare per esse da parte di chi le vuole, almeno in teoria. Quando iniziai a comprare strumenti scientifici trovai eccessivo il prezzo di alcuni, e chi li vendeva mi diceva: eh, cosa vuole… li vogliono tutti, e il prezzo sale. Altri costavano moltissimo (tipo i buoni microscopi) e i venditori mi dicevano: eh, cosa vuole… non li comprano in tanti, e quindi il prezzo è alto. Il prezzo è alto sia che li vogliano tutti sia che li vogliano in pochi. E poi, anche se è vietato, i venditori si mettono d’accordo e tengono alti i prezzi, alla faccia del mercato.

Anche nel mercato del lavoro si vende e si compra, e il “mondo produttivo” si lamenta perché non trova chi accetta i salari che offre. Gli stipendi italiani sono i più bassi dell’area europea e non corrispondono all’entità del nostro Pil: chi guadagna molto non è disposto a pagare il lavoro. I lavoratori, allora, “vendono” il loro lavoro a chi offre di più. Se all’estero la volontà di pagare è maggiore di quella italiana, il lavoro va all’estero: i giovani italiani con alta formazione, e non solo, emigrano dove vendono meglio il loro lavoro. È la legge della domanda e dell’offerta. Se chi compra lavoro non trova lavoratori, deve alzare il prezzo che offre, e si deve organizzare meglio, perché in altri paesi i produttori guadagnano pur offrendo stipendi più alti. Molti produttori chiudono in Italia e delocalizzano le produzioni dove la manodopera costa poco. Poi pretendono di vendere in Italia a prezzi alti, lamentandosi se le vendite non vanno bene. Chi percepisce salari bassi ha bassa possibilità di pagare, e si rivolge a venditori con prezzi bassi. Non a caso sono sempre più diffusi i discount e i venditori di merce contraffatta.

Il libero mercato ha aperto la strada alle privatizzazioni: gli asset strategici, gestiti male dal pubblico, sono stati affidati ai privati. Risultato: crollano i ponti, scoppiano gli ospedali, sballano i treni, falliscono le compagnie aeree. Avanti così: è il mercato. Però se si vogliono affidare al mercato le concessioni demaniali e i taxi… allora no! A seconda dei casi le liberalizzazioni sono sacrosante oppure una sciagura. Lo stesso vale per le proteste. Chi imbratta il vetro che protegge la Gioconda (non la Gioconda) o ferma il traffico per richiamare attenzione sui problemi ambientali è un ecoterrorista. Se gli imprenditori agricoli fermano il traffico con i trattori, per contestare la transizione ecologica, non sono agroterroristi. Anche se, magari, fanno uso smodato di pesticidi e usano lavoratori ridotti in schiavitù.

Il mercato corregge le aberrazioni. Se un paese non rispetta la “logica del mercato” perde posizioni sul mercato globale e viene declassato. Se arriva un’epidemia e il sistema sanitario non è solido a causa di una politica di privatizzazioni che privilegia la sanità privata, smantellando la medicina di base, avviene un’ecatombe. Cose che succedono: non ci sono pasti gratuiti.

I liberisti confidano che il mercato aggiusti tutto, ma gli aggiustamenti possono portare anche al fallimento delle loro strategie. Il “mercato” vige anche in politica, e si basa sui voti. Il mercato politico ha fatto estinguere moltissimi partiti, e ha favorito l’evoluzione di altri. In democrazia la maggioranza vince, ma non è detto che le sue scelte siano giuste. Le scelte si devono confrontare con il mercato economico, sociale e ambientale. Visto lo stato in cui è ridotta l’Italia (denatalità, precariato, povertà, fuga di cervelli, degrado ambientale, sanitario e dei trasporti, evasione fiscale e diverse altre cosette, tipo la corruzione, l’evasione e la malavita organizzata) gli elettori dovrebbero fare scelte più sagge. Non vanno più a votare? Peggio per loro. Vinceranno i pochi che votano. I sondaggi ci dicono che il 40% non si esprime, ma se fate la somma di chi si esprime il risultato è 100% e ci danno da intendere che un partito con il 30% rappresenti il 30% della popolazione, mentre è il 30% del 60% che si esprime.

In natura, la selezione naturale prevede l’estinzione di chi non riesce a stare al passo con le pressioni selettive che operano negli ecosistemi naturali, e lo stesso avviene negli ecosistemi economici e politici. Il liberismo si basa sulla lotta per l’esistenza economica, il mercato, e chi non sta al passo col mercato è condannato all’irrilevanza. Se lo capiremo, bene, se non lo capiremo ci penserà il mercato. Chi è avvantaggiato dall’attuale stato delle cose fa bene a volerlo conservare, chi è svantaggiato fa bene a cercare di cambiarlo. Chi prende decisioni contrarie al proprio interesse, anche non votando, non ha motivo di lamentarsi. Va bene così: chi non si esprime ha torto, chi vota fa valere le proprie ragioni, ma non è detto che abbia ragione: lo deciderà il mercato. Il capolavoro di chi non vuole che le cose cambino è di aver convinto gran parte dell’elettorato che non valga la pena votare, “tanto sono tutti uguali”, risultato: la minoranza vince.

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