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Via Poma, la sorella di Simonetta Cesaroni rompe il silenzio: “Scena del crimine inquinata, sulla porta c’era una striscia di sangue”

Dopo 12 anni torna a parlare Paola Cesaroni, ospite di "Quarto grado": ci sarebbero degli elementi del caso che sono stati sottovalutati dagli inquirenti e che avrebbero potuto nascondere la firma dell’assassino della sorella Simonetta

di Alessandra De Vita

Torna a parlare dopo 12 anni Paola Cesaroni, sorella di Simonetta, ospite ieri del programma tivù “Quarto Grado” che ha dedicato ampio spazio al giallo di Via Poma. Nonostante siano trascorsi oltre 30 anni ci sono degli elementi, decisamente inquietanti, del caso che sono stati sottovalutati dagli inquirenti e che avrebbero potuto nascondere la firma dell’assassino della ragazza di Cinecittà barbaramente uccisa con 29 coltellate il 7 agosto del 1990 a Roma, in uno degli uffici dell’Associazione degli Ostelli della Gioventù per cui Simonetta lavorava saltuariamente e da poco come contabile. Ebbene, proprio da quando aveva accettato quell’incarico part-time dal suo datore di lavoro Salvatore Volponi, titolare dello studio in cui Simonetta già prestava servizio, e che aveva legami con quell’ambiente, Simonetta aveva iniziato a ricevere delle strane telefonate anonime.

LE TELEFONATE – Squilla il telefono. “Ma non mi riconosci?” l’anonimo ammiratore ha incontrato Simonetta ma non si conoscono di persona, non bene. La voce è quella di un uomo educato e gentile come Simonetta racconta alla sorella Paola. “Era qualcuno che sapeva che mia sorella stava lì, in quell’ambiente”, racconta Paola Cesaroni che trovò il corpo dilaniato della sorella quella stessa sera sul pavimento di una delle stanze di quell’ufficio in via Poma dove era andata con il fidanzato e con Volponi, non vedendola rincasare. Di chi si tratta? Nelle ultime settimane queste telefonate si sono ripetute spesso, Simonetta lo raccontò anche a un’amica, Francesca Persico. “Mi accennò ad alcune telefonate che le pervenivano presso le sue sedi di lavoro”, si legge da una sua dichiarazione verbalizzata. Il padre di Simonetta, Claudio, raccontò al magistrato che quest’uomo faceva apprezzamenti piuttosto espliciti su di lei. Qualcuno seguiva Simonetta, forse. Lei era inquieta negli ultimi suoi giorni di vita. La sorella racconta che quando quel giorno l’accompagnò alla metro, era agitata. Queste telefonate furono attribuite all’epoca dagli inquirenti a un ragazzotto di 26 anni con un deficit cognitivo che si era invaghito di Simonetta e che per il giorno dell’omicidio aveva un alibi, era al lavoro presso una sede delle Poste nel quartiere Eur. La situazione fu chiusa. Ma Simonetta conosceva questo ragazzo, lo aveva incontrato nella profumeria in cui aveva lavorato prima di ricevere l’incarico da Volponi, ne avrebbe facilmente riconosciuto la voce. “Non può essere lui il telefonista anonimo – ha spiegato ieri alle telecamere di Quarto Grado lo scrittore e giornalista di inchiesta Igor Patruno – deve necessariamente trattarsi di una persona che aveva conosciuto da poco e che aveva incontrato probabilmente solo una volta”. Chi telefonava conosceva bene gli spostamenti di Simonetta, chi telefonava lo faceva in orari precisi.

I TABULATI – Perché nessuno tra quanti hanno indagato su via Poma ha pensato di recuperare i tabulati? “Doveva essere un’accortezza, una premura e una capacità investigativa dell’epoca – ha spiegato ieri in studio l’avvocato della famiglia Cesaroni, Federica Mondani –. All’epoca erano a disposizione per pochi giorni, se ne doveva fare richiesta alla Sip. Si poteva fare, avrebbero dovuto farla in un arco di tempo rapido ma quando venne fatta i tabulati non erano più recuperabili. Sicuramente Simonetta non avrebbe aperto la porta quel pomeriggio, se non avesse riconosciuto dall’altra parte una persona di rilievo sociale, la professione, una persona di cui conosceva la provenienza”, ha aggiunto. Si pensa a chi poteva conoscere Simonetta e questo si collega alle telefonate arrivate in via Poma.

IL SANGUE SULLA PORTA –Ci aspettiamo le indagini ricomincino come su un foglio bianco”, ha commentato Paola Cesaroni. Tutte le attenzioni dovrebbero concentrarsi su via Poma. Da lì si parte – ha spiegato Paola Cesaroni ieri nella sua intervista –, lì ci sono le radici di ciò che è successo a Simonetta. Quando arrivammo in via Poma il figlio di Salvatore Volponi dovette scavalcare il cancello perché non ci aprì nessuno. Abbiamo aspettato che la portiera ci aprisse, all’inizio non voleva. Non volle entrare poi in ufficio”. C’è un dettaglio che Paola non può dimenticare e che dimostrerebbe come quella scena del crimine fosse stata ripulita e quindi inquinata, prima che lei trovasse il corpo di sua sorella alle 23 inoltrate. “Era buio, vidi la sagoma di mia sorella. Mi portarono via ma il mio fidanzato dell’epoca quella notte stessa mi riferì che quando chiuse la porta, notò una striscia di sangue lasciata da una mano. Poi dalle foto abbiamo visto solo delle piccole tracce, quella che vide lui era ben definita”. Un’altra anomalia è legata alla cartella di lavoro di Simonetta. La cartella è scomparsa dai reperti sequestrati. Quel giorno Simonetta l’aveva con sé perché la sorella la fermò, una volta scesa dall’auto, per riportargliela. C’è ancora nelle foto della scena del delitto ma non è possibile sapere dove sia finita.

L’ORA DELL’OMICIDIO – Alle 17,25 Simonetta era ancora viva perché telefonò a una sua collega che però nel corso degli anni ha cambiato più volte versione sull’orario preciso, fondamentale da conoscere per gli alibi di metà delle persone indagate. “Dopo anni di errori e delusioni nessuno ha chiesto i tabulati telefonici, fondamentali per gli alibi delle persone che quel giorno si trovavano in via Poma”, ha detto ieri Paola Cesaroni. Una scena del crimine contaminata sia nell’immediato che successivamente. Dalle foto si vede che alcune tracce di sangue erano nette, altre come se fossero state lavate e mentre c’erano ancora i sigilli all’ufficio, fu cambiata la serratura. Qualcuno può aver ripulito quella scena?

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