di Claudia De Martino

Gadi Eisenkot è un uomo politico molto noto in Israele: è stato l’ex Capo di stato maggiore delle Forze di difesa israeliane tra il 2015 e il 2019, ha aderito al partito dell’Unione Nazionale di Benny Gantz nel 2022 ed è entrato a far parte del Gabinetto di guerra costituitosi cinque giorni dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre per coordinare le azioni di guerra nella Striscia di Gaza.

L’ex Generale non è, dunque, assolutamente un dissidente né un pacifista, pur essendo un oppositore politico al partito Likud e della coalizione di governo di estrema destra attualmente a governo, nonché un feroce critico del progetto di riforma della Corte Suprema israeliana caldeggiato da quello stesso governo. È anche considerato un’autorità morale in Israele, particolarmente in questo periodo di guerra, avendo versato un contributo personale in termini di sangue nelle operazioni militari: il 7 dicembre, infatti, ha perso suo figlio Gal Meir Eisenkot, ucciso in un’operazione militare nel campo profughi di Jabaliya, e quello successivo anche suo nipote, ucciso in circostanze simili. Per questi motivi la sua voce critica, che si distingue nel coro uniforme dei politici israeliani e dei suoi difensori all’estero, è particolarmente rilevante ed espressione di un’opinione corrente che in Israele comincia a prendere forma.

Il 18 gennaio scorso, infatti, il Generale ha concesso una significativa intervista al programma televisivo israeliano “Huvdà” (Il Fatto) che è passata quasi inosservata sui media internazionali ma che ha scioccato parte dell’opinione pubblica israeliana, ormai oggetto di oltre 100 giorni di propaganda di guerra. Tra gli argomenti più importanti affrontati nell’intervista, vi sono stati i dissidi interni al Gabinetto di guerra, per la prima volta rivelati al pubblico e non affrontati a porte chiuse. Eisenkot ha esordito dichiarando che l’attuale premier Benjamin Netanyahu è totalmente e personalmente responsabile della disfatta militare del 7 ottobre, nonostante fatichi ad ammetterlo in pubblico, e che vi sarà una commissione d’inchiesta al termine della guerra per accertare le sue specifiche responsabilità.

E’ poi passato a comunicare il suo messaggio principale rivolto alla nazione, ammettendo solennemente che non è possibile vincere Hamas, ovvero raggiungere il principale obiettivo che il Governo si è posto dall’inizio della guerra: questo non solo perché solo un terzo degli effettivi di Hamas – 9.000 su 28.000 circa – sono stati uccisi (e circa due terzi dei 15.000 razzi distrutti), ma anche perché Hamas non è solo un’organizzazione militare e non è solo presente nella Striscia di Gaza. Ha quindi esplicitato che non vi sia alcuna chiara vittoria da attendersi, perché la disfatta totale di Hamas non è mai stata possibile.

Il Governo, ha aggiunto, continua a mentire su questo punto e ritenerla possibile perché manca di un piano di pace per la risoluzione del conflitto, ovvero di uno scenario plausibile per il dopoguerra: nessuna idea credibile è stata avanzata dall’esecutivo sulla gestione della Striscia all’indomani della conclusione delle operazioni militari e questo perché il Governo non accetta alcuna forma di autonomia palestinese e non accetta i palestinesi come interlocutori legittimi.

Eisenkot ha anche sottolineato con durezza che i due obiettivi complementari professati dal Governo – la “liberazione” di Gaza da Hamas e quella dei 136 ostaggi ancora prigionieri nella Striscia – non sono perseguibili simultaneamente, anzi sono mutualmente esclusivi; aggiungendo, inoltre, che solo un ostaggio ad oggi è stato liberato attraverso un’azione militare, mentre la netta maggioranza tra loro è stata rilasciata solo attraverso negoziati indiretti con Hamas. Ha così evidenziato come non sia possibile liberare ulteriori ostaggi senza scendere a patti con Hamas, per quanto difficile possa essere un compromesso su questo punto, e che ogni forma di protesta delle famiglie degli ostaggi e dei movimenti che reclamano il loro ritorno sia perfettamente legittima.

Infine, ha svelato alla stampa che il Governo Netanyahu avrebbe avuto interesse a espandere le operazioni militari al fronte nord contro Hezbollah, ma che tale scelta è stata posta al veto proprio da Benny Gantz e lui all’interno del Gabinetto di guerra, ponendo un freno alle mire incendiarie di parte dei Ministri del Governo. Tale allargamento della guerra al Libano avrebbe, infatti, trasformato la guerra in corso in un conflitto regionale e ciò sarebbe stato un “regalo ad Hamas”, in particolare al leader della sua ala militare, Yahya Sinwar – che coordina le operazioni di guerriglia da un bunker contenuto in uno dei tunnel sotto la Striscia di Gaza e probabilmente circondato da numerosi ostaggi israeliani -, che avrebbe avuto tutto l’interesse a coinvolgere Israele in una guerra contro l’asse sciita, anche solo per alleggerire la tensione su Gaza.

Al termine della lunga intervista televisiva, Eisenkot ha anche riferito la sua intenzione – e probabilmente quella del suo partito – di abbandonare il Gabinetto di guerra in un prossimo futuro in caso il Governo decida di rigettare un negoziato con Hamas e di assegnare la priorità agli insediamenti in Cisgiordania nella formulazione del budget, attesa per il prossimo 20 febbraio, piuttosto che alla difesa o alla ricostruzione dei moshavim e dei kibbutzim del sud.

La defezione dell’Unione Nazionale dal Gabinetto di guerra potrebbe non essere sufficiente a convocare nuove elezioni, per cui servirebbe anche una dimissione di almeno 4 membri della coalizione di governo, ma certamente renderebbe evidente la presenza di uno scontro interno a Israele sull’utilità del proseguimento della guerra e, in generale, sulle priorità dello Stato, spaccando un’opinione pubblica già lacerata dalla riforma giudiziaria e dal trauma del 7 ottobre, e screditando un Governo estremista che rappresenta una minaccia alla pace mondiale.

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