Sono più di mille, come le camicie rosse di Giuseppe Garibaldi. I paragoni, però, si fermano ai numeri visto che nell’arrivo delle mafie italiane in Germania c’è ben poco di epico. È un’infiltrazione silenziosa e costante quella delle piovre italiane nella locomotiva d’Europa. Un fenomeno da sempre monitorato dagli investigatori italiani e da quelli dell’Europol, ma che è stato spesso ignorato dalle cronache tedesche, a eccezione dei giorni della strage di Duisburg del 2007. Questa volta, però, il titolo è troppo evocativo per essere ignorato: sono, infatti, più di mille gli esponenti dei clan italiani che vivono in Germania. Un dato ufficiale, fornito direttamente dal governo di Olaf Scholz.

La carica dei mille (mafiosi) – Il numero è contenuto nella risposta data dal ministero degli Interni a un’interrogazione parlamentare dei Verdi, ripresa per prima dai quotidiani del gruppo Rnd. È in questo modo che si è scoperto come la Germania ospiti 1.003 italiani considerati esponenti delle principali associazioni mafiose: più della metà, cioè 519, sono indicati come affiliati alla ‘ndrangheta calabrese, 134 gravitano nel mondo della Cosa nostra siciliana, 118 della Camorra campana. A questi vanno aggiunti 37 esponenti della criminalità organizzata pugliese, quindi la Sacra corona unita e la Società foggiana, 33 membri della Stidda, un’organizzazione mafiosa nata in alcune zone della Sicilia in contrapposizione a Cosa nostra. Chiudono il conto altri 162 indiziati, sui quali però non ci sono informazioni relative all’organizzazione d’appartenenza. I dati si riferiscono al 2022 e tengono conto dell’arrivo di altri 87 italiani a rimpinguare le file della criminalità organizzata in Germania.

L’Eldorado dei boss – Numeri che conferiscono alla Repubblica federale il titolo di nuovo Eldorado delle mafie italiane, almeno all’interno dei confini comunitari. Per capire l’entità del fenomeno basti pensare che, negli anni Novanta, i residenti in Germania che erano affiliati o avevano contatti coi clan mafiosi erano al massimo un centinaio, secondo uno studio congiunto della Direzione investigativa antimafia italiana e del Bundeskriminalamt (Bka), la polizia federale tedesca. Da allora, dunque, quella cifra si è decuplicata: una stima arrotondata per difetto, visto che tutti gli esperti concordano sull’esistenza di un significativo numero di casi non ancora localizzati. D’altra parte ancora nel 2017, ilfattoquotidiano.it aveva pubblicato uno speciale sulle Mafie in Europa, dal quale emergeva come la Bka avesse identificato circa 500 mafiosi italiani di stanza in Germania. La polizia federale, però, ipotizzava come gli uomini dei clan in terra teutonica potessero essere in realtà almeno 1200: più di quelli censiti sette anni dopo. La passione dei boss per il suolo tedesco, dunque, non è certo una novità, tutt’altro. Negli ultimi tempi, però, i numeri fanno registrare una vera e propria tendenza: esponenti dei clan nostrani continuano ogni anno a trasferirsi nella Repubblica federale. Come mai? Perché la Germania piace così tanto ai boss italiani? Le risposte sono più o meno sempre le stesse. E non sono contenute nel report del ministero tedesco.

La lavatrice d’Europa – Il dicastero guidato da Nancy Faeser, infatti, non è stato in grado di fornire informazioni sul numero di procedimenti penali in corso sulle associazioni mafiose. È noto solo come siano stati accertati utili illeciti per 2,3 milioni di euro nel 2022 di cui circa 683 mila recuperati. Numeri minimi rispetto alla reale portata del giro d’affari, quantificata in almeno cento miliardi di euro all’anno. Anche qui la stima è arrotondata per difetto. Secondo Marcel Emmerich, presidente del gruppo parlamentare dei Verdi nella commissione per gli Interni del Bundestag, la Germania è ormai la “lavatrice d’Europa”. L’esponente ambientalista ha proposto di riunire le competenze investigative a livello federale, dando più risorse agli inquirenti e garantendo maggiore collaborazione tra Länder e Stato centrale. Emmerich, insomma, è consapevole che le mafie non sono un problema locale, ma possono essere combattute solo se affrontate a livello centrale.

Non ci sono i reati, ma ci sono i contanti – Un primo passo per contrastare il fenomeno è stato il divieto di compravendita d’immobili in contanti. Un piccolissimo paletto per rendere la vita più complicata ai clan: tra le caratteristiche che rendono la Germania una terra promessa per i boss, infatti, c’è l’assenza di un tetto alla circolazione del denaro cash. L’altra “qualità” dei tedeschi, dal punto di vista degli “uomini d’onore”, è il fatto che non si siano mai dotati del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Una peculiarità condivisa in tutta Europa, ad esclusione ovviamente dell’Italia. Il reato disciplinato dall’articolo 416 bis del nostro Codice Penale, infatti, permette d’indagare anche solo in base all’ipotetica appartenenza a una cosca. Al contrario, la mancanza di questa fattispecie significa che le indagini autonome, ovvero non legate ad una richiesta d’aiuto in rogatoria da parte del nostro Paese, devono provare reati previsti dall’ordinamento giuridico del Paese, come il traffico di droga e il riciclaggio. Condotte molto difficili da dimostrare: secondo il Financial Intelligence Unit, per esempio, fino al 2016 in Germania il 95% dei procedimenti penali per riciclaggio di denaro erano stati archiviati a causa mancanza di prove. Anche per questo motivo nel 2019 il rapporto More di Transcrime, il centro di ricerca dell’Università Cattolica di Milano diretto da Ernesto Savona, considerava Berlino tra i Paesi europei con la maggiore esposizione all’off-shore e alle giurisdizioni rischiose. In quel dossier erano contenuti i dati della Bundesbank: nel 2012, per esempio, le sole importazioni dichiarate di contante in Germania ammontavano a circa 56 miliardi euro.

Gli affari sono affari – Mancanza di legislazione adeguata e proliferazione di denaro in contante, quindi praticamente incontrollabile. Se a queste caratteristiche aggiungiamo la nota potenza economica del Paese – che non a caso è considerato la locomotiva d’Europa – ecco che la passione delle mafie per la Repubblica federale trova una sua spiegazione. Se la presenza dei clan su suolo tedesco non è una notizia, ancora meno inedito è il loro business: si va dal riciclaggio di denaro alle frodi fiscali, fino al narcotraffico. Attività illegali coperte da altre legali, anche in questo caso sempre le stesse: le mafie in Germania gestiscono bar e ristoranti, pizzerie e agenzie immobiliari, acquistano latifondi agricoli e hotel. Alcuni di questi locali diventano dei veri e propri centri logistici, uffici della mafia spa: fungono da quartieri generali per i summit, rifugi per i latitanti, lavatrici per il denaro sporco e snodi per il traffico di armi e droga.

Silenzio dopo Duisburg – Del resto erano tutti lavoratori della pizzeria Da Bruno i sei calabresi massacrati il 15 agosto 2007 in quella che è passata alla storia come la strage di Duisburg. Una mattanza che fa parte della storica faida di San Luca, piccolo centro sull’Aspromonte calabrese, tra il clan Nirta-Strangio e i rivali Pelle-Vottari. Se si escludono alcuni episodi della cosiddetta faida Liegi-Favara (una scia di omicidi che unisce la città del Belgio con quella in provincia di Agrigento), la strage di Duisburg è l’unico caso in cui le mafie italiane hanno versato sangue in maniera eclatante in un Paese Ue. Logico dunque che la mattanza della pizzeria Da Bruno abbia fatto accendere i riflettori sulla presenza del fenomeno mafioso nel cuore del Continente. Le luci, però, si sono spente presto.

La mappa dei clan – Ovviamente la presenza dei clan riguarda soprattutto i Länder più ricchi: nel Baden-Württemberg, in Assia, in Renania-Settentrionale Vestfalia e in Baviera la ‘ndrangheta e Cosa nostra sono di casa ormai da decenni. Ma pure a est, la Turingia e la Sassonia, sono state terreno fertile per speculazioni immobiliari e finanziarie di riciclaggio, sull’onda della riunificazione tedesca. Sempre in Turingia già nel 2006 la procura di Gera indagava sulla presenza di esponenti delle ‘ndrine Pelle e Romeo. Della penetrazione dei calabresi su suolo teutonico resta traccia nelle carte delle operazioni Stige, Tritone e Propaggine, solo per restare agli ultimi anni. Da Cirò, in provincia di Crotone, gli uomini del clan Farao-Marincola sono arrivati in Assia e nel Baden-Württemberg: gestivano, quasi in monopolio, l’importazione dei prodotti agricoli e alimentari, dei semilavorati per la pizza, del vino doc prodotto in Calabria. A Stoccarda, invece, gli uomini della famiglia Grande Aracri di Cutro, sempre nel Crotonese, erano riusciti ad aprire i loro ristoranti addirittura nella torre della televisione cittadina. A Mannheim, affacciata sul fiume Reno, avevano traslocato alcuni esponenti del clan Rinzivillo di Gela e dei Santapaola-Ercolano: investivano i soldi guadagnati nel mercato delle scommesse clandestine.

I cervelli in fuga della ‘ndrangheta – Solo tre anni fa, nel 2021, l’operazione Platinum della Dia di Torino aveva scoperto come a Überlingen, incantevole cittadina sul lago di Costanza, avvessero messo radici esponenti dei Giorgi, famiglia proveniente da San Luca, dove sono conosciuti soprattutto come i Boviciani. L’Investigative Reporting Project Italy – centro di giornalismo investigativo italiano – ha ricostruito come Sebastiano Giorgi, detto Bacetto, avesse aperto un ristorante sul lungolago, il Paganini. Non si mangiava molto bene, ma tanto quella era solo una copertura: il vero business di Bacetto, infatti, è la droga. A prenderla con ironia i Giorgi sono i cervelli in fuga della ‘ndrangheta di San Luca: storicamente, infatti, non erano considerati un clan di primo livello. Grazie al narcotraffico, però, hanno scalato le gerarchie. Bacetto ha creato una rete internazionale, alleandosi con albanesi e rumeni: una multinazionale del crimine in grado di acquistare grossissimi quantitativi di polvere bianca, interfacciandosi direttamente coi broker dei cartelli del Sudamerica.

L’epidemia – La droga arriva nei porti della Spagna, dell’Olanda, del Belgio e della Germania, nascosta nei cargo che trasportano frutta. I sequestri, che colpiscono solo una piccola percentuale dei carichi, sono utili per farsi un’idea del giro d’affari: solo nel 2022 nel porto di Anversa sono state sequestrate circa 116 tonnellate di cocaina, a Rotterdam 60, ad Amburgo oltre 35. Proprio la città sull’Elba, che 100 chilometri più a nord sfocia nel Mare del Nord, è la porta tedesca del traffico di cocaina, come sottolinea l’organizzazione Mafia Nein Danke, Mafia no grazie. “’Ndrangheta, camorra e Cosa nostra seguono il flusso degli italiani emigrati nell’Europa settentrionale già dagli anni Cinquanta”, aveva spiegato al ilfattoquotidiano.it Verena Zoppei, attivista dell’ong. “La mafia in Germania vuole che i tedeschi pensino che non esista. Non ha più bisogno di essere violenta. Può sedurre con il capitale”, era invece l’opinione di Roberto Scarpinato, all’epoca procuratore generale di Palermo e oggi senatore del Movimento 5 stelle. “Quando non si cerca di capire la fonte dei soldi e si accetta l’ingresso indiscriminato di capitale nel proprio Paese – proseguiva il magistrato antimafia – allora è la moralità stessa di un popolo che è a rischio. In tempi di crisi come oggi, il potere del denaro e della corruzione possono diventare un’epidemia che scuote una società dalle fondamenta. La Germania deve decidere se accogliere la mafia, o combatterla”. Le parole di Scarpinato risalgono al 2014. Dieci anni dopo la Germania non sembra ancora aver deciso cosa fare: accogliere la mafia o combatterla? Nel frattempo, nel cuore dell’Europa, l’epidemia è ormai esplosa.

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