Una cella completamente chiusa, cimici nel letto, scarafaggi nei corridoi, vitto scarso. Questa la vita da detenuta di Ilaria Salis, l‘antifascista detenuta in Ungheria perché accusata di una aggressione a due neonazisti, descritta nella lettera di 18 pagine che la 39enne ha inviato il 2 ottobre ai suoi avvocati in Italia, Eugenio Losco e Mauro Straini. Il testo è stato pubblicato in esclusiva dal Tg La7 diretto da Enrico Mentana. Si trovava in carcere da 8 mesi e le era vietato parlare. La donna, le cui immagini in catene hanno suscitato proteste e indignazione, aveva denunciato le condizioni dei detenuti per permettere agli avvocati di Gabriele Marchesi, suo coindagato, per evitare che fosse data esecuzione al mandato d’arresto europeo e al trasferimento in un penitenziario ungherese.

Salis, che si è dichiarata non colpevole, racconta le circostanze dell’arresto quando le vengono sequestrati scarpe e vestiti “ad eccezione di mutande, reggiseno e calzini” e “sono stata costretta a rivestirmi con abiti sporchi, malconci e puzzolenti che mi hanno fornito in questura e ad indossare un paio di stivali con i tacchi a spillo che non erano della mia taglia”. Resterà con questi vestiti per cinque settimane per sette giorni non avrà carta igienica, sapone e assorbenti, beni di prima necessità che rimedierà solo grazie a una detenuta ungherese. “Sono rimasta per 5 settimane senza ricevere il cambio lenzuola, per i primi tre mesi sono stata tormentata dalle punture delle cimici da letto – scrive ancora – Oltre alle cimici nelle celle e nei corridoi è pieno di scarafaggi” invece “nel corridoio esterno appena fuori dall’edificio spesso si aggirano topi”.

Ilaria Salis racconta anche le difficoltà riscontrate nelle visite mediche: “Ho un nodulo al seno che ha un aspetto benigno, ma che diversi dottori in Italia mi hanno raccomandato di controllare periodicamente”. In carcere a Budapest a metà giugno è stata portata in un ambulatorio dove le è stata fatta “ecografia e mammografia”. “Io non ho ricevuto nessun referto scritto, che invece è stato consegnato al medico del carcere, a cui sia io che l’avvocato Santa abbiamo chiesto più volte che il referto sia inviato all’avvocato ma al momento non gli hanno ancora inviato niente”, denuncia l’attivista italiana.

“Oltre alle manette, qui ti mettono un cinturone di cuoio con una fibbia”, scrive la detenuta. Quanto al vitto, nel memoriale di ottobre, Salis racconta: “Il carrello passa per la colazione e per il pranzo ma non per la cena, a colazione di solito si riceve una fetta di salume che spesso è in cattivo stato. A pranzo danno zuppe molto acquose in cui c’è pochissimo cibo solido, ma dove in compenso spesso si trovano pezzi di carta o di plastica, capelli o peli”. Quanto alla detenzione nella lettera c’è scritto che “si trascorrono 23 ore su 24 in cella completamente chiusa, c’è una sola ora d’aria al giorno e la socialità non esiste”. Salis spiega che non ha potuto iscriversi alle lezioni di scuola elementare ungherese, lingua in cui avvengono tutte le comunicazioni, con la motivazione che “non parla ungherese”.

“È un po’ deperita ovviamente soprattutto per l’udienza. Era abbastanza in difficoltà perché poi era molto emozionata, era emotivamente molto trascinata. Le girava un po’ la testa” dice Roberto Salis appena sceso dall’aereo al ritorno da Budapest. In carcere “il colloquio è andato meglio perché stava molto meglio, era più rilassata ed era anche contenta di quello che era accaduto lunedì; era più bella insomma”.

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