Uno spettro s’aggira per Verona. È lo spettro di Placido Domingo, il tenore ospite fisso dell’Arena di Verona che, nonostante le diverse accuse di molestie, tanto da venir allontanato da molti teatri internazionali, è stato ingaggiato dall’Ente lirico e confermato anche per gli anni a venire come icona di uno dei più bei palcoscenici del mondo, con l’avallo del sindaco “progressista” della città. Una decisione, come di seguito precisato, ribadita e difesa proprio in questi giorni, a fronte di una contestazione montante, pur tenuta sotto traccia mediatica.

Questa contraddizione culturale, per usare un eufemismo, a mio parere può essere compresa solo gettando un rapido sguardo al passato di Verona, una città che spesso cade sotto i riflettori della cronaca nazionale. Quello remoto in cui il fascismo ha lasciato molte tracce di sé che un cattolicesimo conservatore non ha certo aiutato a cancellare e quello prossimo in cui l’arcipelago del centro-sinistra ha cercato di tirar fuori il coniglio dal cilindro nella competizione elettorale del maggio 2022 per il rinnovo del sindaco. Non uno di loro – hanno pensato – troppo indigesto per la tradizione, ma soprattutto mai accettabile da tutti gli isolotti dell’arcipelago. Allora hanno puntato al “bravo ragazzo” attrattore trasversale di consensi. Eccolo, è Damiano Tommasi, ex giocatore popolare di football, cattolico, coniugato con sei figli e che cita don Milani, anche se per promuovere la sua scuola, privata. Pazienza se manca d’esperienza amministrativa oltre il pallone e se è estraneo alla politica.

La divisione degli alleati di centro-destra al ballottaggio compie il miracolo e lui diventa “sindaco per caso”. Subito, per difenderlo dalla sua oggettiva impreparazione al ruolo, si forma un “cerchio magico” che ostacola però ogni dialogo con gli elettori. Dentro saltano ambigue figure in conflitto d’interesse, storici potentati e qualche opportunista. È un boomerang per la sinistra. Il “border” delle forze politiche che costituiscono la “Rete” che l’ha sostenuto dà segni d’inquietudine. S’ingigantiscono i problemi di una città d’arte travolta come tante da una “turistizzazione” selvaggia che sconvolge gli assetti urbani e la stessa urban health (traffico commerciale, rifiuti, plateatici, rumori e odori molesti, cambi di destinazione d’uso dei fabbricati, eventi da lunapark). Timidi, carenti, se non contraddittori provvedimenti, per di più diluiti nella loro attuazione fino a fine mandato e privi di efficace vigilanza, non riescono a fronteggiare le potenti lobby dei veri padroni della città, i commercianti, che si fanno forti a livello regionale e nazionale del sostegno della destra.

Ed ecco che questa, approfittando – io credo – dell’ingenuità politica del neofita, riesce ad imporre alla direzione dell’Ente lirico una propria figura per confermare Placido Domingo, un’icona ancora in grado di far cassa e questo è ciò che conta. Il sindaco acconsente e sottoscrive. I movimenti femministi, e non solo, della città, che fin dal 2020 avevano avviato una vibrante protesta contro un soggetto tanto impresentabile, ritornano reiteratamente alla carica quest’estate.

Dopo un lungo silenzio della Giunta e della sua maggioranza, salvo la sola eccezione di una consigliera che redige un coraggioso comunicato titolato “Non in mio nome” e ripreso dal Fatto del 24 agosto, il sindaco, continuamente sollecitato dai vari movimenti d’opinione, ha concesso finalmente udienza ad una nutrita delegazione del dissenso lo scorso 25 gennaio. Nell’incontro, al quale ho personalmente preso parte, si ricorre ad ogni metafora, suggestione, richiamando persino don Milani, per spiegare al sindaco che non si può dissociare la professionalità artistica (ammesso e non concesso che possa persistere in un tenore ottantenne), dall’etica pubblica sostenuta dai valori fondativi della nostra Costituzione. Non si può elevare a simbolo della lirica un uomo accusato di molestie, s’insiste. Non c’è fiaccolata, tintinnio di chiavi contro i femminicidi o proposte di “taxi rosa” che tengano, si ribadisce.

Ma il sindaco Tommasi rimane irremovibile: se per il grande pubblico, le maestranze dello spettacolo e la maggioranza che lo sostiene in Comune non fa problema separare la professionalità dall’etica,per me la questione Domingo non esiste”, conclude davanti al mio sguardo esterrefatto. Come con Barabba e Gesù, ho chiosato. Ma non basta. La contraddizione che gli è stata rimproverata assume una dimensione paradossale, alla luce del “ritiro spirituale” sul “senso di fare scuola oggi” – annunciato per i giorni 1-3 marzo presso il monastero di Cellole a San Giminiano – in cui Damiano Tommasi, promotore dell’iniziativa, terrà una conferenza proprio dal titolo “E’ ancora possibile un orizzonte etico nella politica?”. Lui la risposta se l’è già data: no.

È questo uno dei tanti esiti della crisi strutturale della politica nelle democrazie che a livello locale, come nazionale (e non solo), si è ritirata dalla scena per cedere il palco ai “personaggi” e ai loro sodali.