“Nel 2023 Eni azzererà la produzione di biocarburanti da olio di palma e Pfad (Palm Fatty Acid Distillate)”, il distillato di acidi grassi dell’olio, tra i suoi derivati. Prima dell’assemblea societaria di maggio 2020, l’azienda rispondeva così all’azionariato critico ma, stando a un’indagine di Transport & Environment, Eni ha fatto affidamento su importazioni regolari di prodotti a base di olio di palma, in particolare di Pfad, per tutto il 2023 e certamente fino a novembre.

Almeno otto navi cisterna hanno trasportato dall’Indonesia all’Italia Pfad destinato alle raffinerie per essere trasformato in biodiesel. Eni, contattata da T&E prima della pubblicazione dell’inchiesta, ribadisce “di essere un’azienda palm oil-free”, ma conferma che “il Pfad fa attualmente parte del mix di materie prime” utilizzato nelle raffinerie e che lo considera “un sottoprodotto di scarto valorizzato a fini energetici”.

L’utilizzo di Pfad, di fatto, è tuttora consentito dal regolamento Ue che prevede l’eliminazione dell’olio di palma entro il 2030. In Italia, inoltre, il dl Proroghe ha rinviato al 2025 il termine oltre il quale i biocarburanti prodotti da olio grezzo e Pfad non potranno più essere conteggiati nel raggiungimento dei target Fer nel settore dei trasporti, né ricevere incentivi. I cambi normativi non incoraggiano, dunque, lo stop alle importazioni di Pfad. Eppure, diverse inchieste e studi scientifici dimostrano che, così come l’olio di palma, anche i suoi derivati, aumentano i rischi di deforestazione nei paesi in cui vengono prodotti. “Dopo essere stata multata dall’Antitrust per 5 milioni di euro per i messaggi pubblicitari relativi al biodiesel a base di olio di palma che ingannavano i consumatori, impegni e trasparenza di Eni nei confronti di azionisti e cittadini sono rimasti ambigui”, commenta a ilfattoquotidiano.it Carlo Tritto, policy officer per Transport & Environment.

Biocarburanti, quale strategia – I biocarburanti si dividono in tre categorie: la prima generazione prodotta da colture alimentari e foraggere (i più diffusi), quelli avanzati, che si ottengono da rifiuti, residui e prodotti derivati (il cui contributo al raggiungimento dei target è conteggiato per un valore doppio) e quelli ugualmente double counting ma non avanzati (perché c’è un limite alla loro disponibilità), come quelli ricavati da oli da cucina e grassi animali. Mentre la Corte dei Conti Ue sottolinea che “i benefici dei biocarburanti sull’ambiente sono spesso sovrastimati”, il Governo Meloni li sostiene. Una strategia sbagliata, secondo T&E, perché fa affidamento soprattutto sui biocarburanti ricavati da grassi animali e oli da cucina usati (importati per l’80% da paesi asiatici) e quelli a base di palma, Pfad compreso, fortemente legati alla deforestazione e per cui l’Italia è terzo consumatore europeo. Fino al 2030, di fatto, l’olio di palma potrà essere certificato come sostenibile, a patto che non arrivi da aree disboscate, ma diverse indagini mettono in dubbio il fatto che lo sia davvero.

Le promesse sul Pfad – Eni ha manifestato per la prima volta l’intenzione di abbandonare l’olio di palma a febbraio 2020: “La nostra capacità di biotrattamento sarà esente da olio di palma entro il 2023”. Tre mesi dopo, ha risposto alle domande degli azionisti critici sui Pfad e ha prima dichiarato che stava “rivedendo la supply-chain allo scopo di azzerare l’utilizzo di olio di palma e Pfad entro il 2023”. Poi, a domanda diretta, ha annunciato: “Eni azzererà la produzione di biocarburanti da olio di palma e Pfad nel 2023”. Di quegli impegni non si è saputo più nulla. Poi è arrivato il dl Proroghe. La stessa azienda oggi commenta: “La nostra risposta si è basata su scenari normativi e di mercato che si sono evoluti nel tempo”. E così, a ottobre 2022, in una nota Eni ha annunciato la fine dell’approvvigionamento di olio di palma nelle bioraffinerie di Venezia e Gela “in anticipo rispetto all’obiettivo di diventare palm oil free entro fine 2022”. Nello stesso documento, ricorda Eni, si faceva riferimento “al fatto che venissero ancora utilizzati i sottoprodotti degli scarti dell’olio di palma”. I Pfad, però, non sono mai stati citati esplicitamente, tranne che nel rapporto di sostenibilità 2022 della raffineria di Gela, nel quale si dice che, a novembre 2022, l’obiettivo di azzeramento dell’olio di palma è stato raggiunto, in parte anche sostituendolo con il Pfad. Per Agathe Bounfour, responsabile del programma petrolifero di T&E, “si tratta di olio di palma sotto un altro nome. Il risultato è lo stesso. Più deforestazione e più emissioni, in nome dei cosiddetti biocarburanti sostenibili”.

Seguendo le navi – Per capire se e quanto Eni faccia affidamento sul Pfad, Transport & Environment ha seguito il percorso delle navi. Il 24 luglio 2023, la Lovestakken era al porto di Gela, in Sicilia. Trasportava Pfad destinato alla raffineria Eni, secondo i dati di Refinitiv e le registrazioni doganali. Era partita il 13 giugno dall’isola indonesiana di Kalimantan, per poi dirigersi a Balikpapan, sulla costa orientale. Si è fermata al terminal rinfuse dell’LDC Est Indonesia, produttrice di olio di palma e filiale del gruppo Louis Dreyfus. Si è poi diretta a Sumatra, al molo della Wilmar, che sull’isola possiede un impianto di raffinazione. Il 18 luglio è entrata nel Canale di Suez e, il 22 luglio, è stata raggiunta dalla petroliera MRC Semiramis al largo della Sicilia, dove è stato effettuato un trasferimento di merce da nave a nave. Ha fatto poi rotta verso Gela ed è attraccata all’ormeggio di Eni, mentre l’MRC si è diretta verso la raffineria di Venezia, a Porto Marghera.

Almeno altre quattro navi hanno trasportato prodotti a base di olio di palma dall’Indonesia alle raffinerie Eni da gennaio a luglio 2023 e altre tre hanno trasportato Pfad dall’Indonesia a Gela da luglio a novembre 2023. Tutti i viaggi hanno seguito uno schema molto simile, mentre alcune navi si sono fermate anche in Malesia.

Se il Pfad sostituisce l’olio di palma – “No comment da parte di Eni sulle spedizioni”, aggiunge Tritto. Ad oggi l’azienda non ha comunicato la quantità di ciascuna materia prima e di Pfad utilizzati per sostituire l’olio di palma “anche se dai rapporti della società risulta che la grande maggioranza delle materie prime utilizzate a Gela e Venezia, nel 2022, provenivano da Indonesia e Malesia”, spiega il report. Si passa, dunque, dall’olio di palma grezzo a materie prime definite “residue”. Eni non diffonde dati sui volumi di Pfad arrivati nel 2023 alle sue raffinerie, considerandoli dati sensibili al mercato (e, quindi, riservati) “ma l’indagine – commenta Tritto – suggerisce che abbia continuato per tutto il 2023 a importare Pfad” che, ammette l’azienda, fa parte del “mix di materie prime” utilizzate nelle sue raffinerie. “Inoltre, rispondendo a T&E – aggiunge Tritto – Eni non chiarisce quando non importerà più prodotti a base di olio di palma”. Il rischio, come sostiene Chris Malins, esperto della società di consulenza Cerulogy, è che se aumenta la domanda di Pfad per i biocarburanti “serviranno comunque più piantagioni di olio di palma”. E se i Pfad oggi utilizzati in farmaceutica e oleochimica verranno richiesti per i biocarburanti, questi settori dovranno trovare alternative, persino nell’olio di palma grezzo. Il risultato non cambia: maggiore richiesta di olio di palma e più deforestazione.

L’impatto sulle emissioni – Ma la misurazione delle emissioni legate al Pfad dipende dal fatto che sia classificato come co-prodotto, sottoprodotto o residuo della produzione di olio. “Compagnie petrolifere e produttori di biocarburanti – spiega il report – tendono a considerare i Pfad come rifiuti e residui, escludendo dall’impatto climatico le emissioni a monte dovute alla deforestazione”. Che, però, ci sono. Eni sostiene che “l’utilizzo di un sottoprodotto di scarto come il Pfad è una conseguenza e non una causa della produzione di olio di palma. Non siamo d’accordo – ribadisce l’azienda – con l’equiparazione tra l’uso di questo prodotto e quello dell’olio di palma”. Secondo una nuova ricerca pubblicata da Malins per Rainforest Foundation Norvegia, però, “considerando prezzo ed effetti di sostituzione con l’olio di palma nei vari settori, le emissioni dei biocarburanti Pfad possono arrivare fino a 230 grammi di anidride carbonica equivalente per megajoule, più del doppio delle emissioni del diesel fossile, non molto meno di quelle dei biocarburanti da olio di palma (285 gCO2e/MJ)”. Nel migliore dei casi, la media è di 100 grammi di Co2 equivalente per megajoule.

Il nodo della tracciabilità – Esportatori e importatori fanno molto affidamento su sistemi di certificazione della sostenibilità ma, come rilevano diverse indagini, anche l’International Sustainability and Carbon Certification (Iscc), che gestisce la certificazione europea o il RsPO (Round Table on Sustainable Palm Oil) non possono escludere totalmente i rischi di deforestazione. Nel 2022, Eni ha dichiarato di “rintracciare il 100% dei mulini e delle piantagioni da cui proveniva il suo olio di palma destinato alle bioraffinerie di Venezia e Gela” e che “il 100% dell’olio utilizzato è certificato Iscc”. I registri doganali visionati da T&E mostrano i dati delle filiali di tre società (Louis Dreyfus, Wilmar e Golden Agri Resources) che avrebbero rifornito Gela, tra il 2022 e il 2023, di prodotti a base di olio di palma proveniente da mulini nelle aree dell’Indonesia più colpite dalle deforestazioni. Eni non dà conferma. Di fatto, nei rapporti di queste stesse società (dati 2022), si garantisce una tracciabilità del 100% solo per ciò che arriva dal mulino, mentre per ciò che proviene dalle piantagioni si varia dall’85,4% al 96,2%. Sono tuttora in corso, inoltre, indagini su casi di deforestazione che coinvolgono la Smart (filiale della Golden Agri Resources) che nel 2022 ha rifornito la raffineria Eni di Gela con prodotti a base di olio di palma. “A domanda specifica, la stessa Eni – spiega Tritto – non ha confermato di poter garantire una tracciabilità del 100% al mulino e alla piantagione per le importazioni di Pfad”.

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