Circo Bulgaria di Dejan Enev (traduzione di Giorgia Spadoni; Bottega Errante Edizioni) è una splendida raccolta di sessantadue racconti (a volte delle vere e proprie comete narrative, rapidissime e luminose) che radiografa il Paese balcanico e i suoi abitanti in modo lucido, verosimile e diretto. Chiunque sia stato a Sofia e si sia addentrato nei meandri della città e non si sia limitato alle fotografie di rito della dorata Cattedrale Alexander Nevskij, leggendo questo libro avrà riscontrato, nelle persone incontrate, caratteristiche simili a quelle dei personaggi di Enev. Uomini e donne annichiliti dalla transizione tra il comunismo e il capitalismo, ma che mantengono la loro fiera, spesso comica, dignità nazionalista grazie all’aiuto dell’alcol (qualsiasi, sia l’autoctona rakija, sia liquori stranieri di fama internazionale). Esseri annoiati, spaesati dai cambiamenti, rozzi, confusi dalla quotidianità di un Paese che muta di continuo seppur mantenga una maschera apparente di immobilità.

Prendendo spunto dalle proprie esperienze lavorative, l’autore traccia una storia singola e collettiva degli ultimi trent’anni della Bulgaria, introducendo giornalisti irrazionali, pazienti e personale di cliniche psichiatriche, papponi, prostitute e criminali, rendendoli autentici, efficaci, in un processo narrativo di finzione che investe magnificamente la realtà. Circo Bulgaria è una lettura intelligente, di ampio respiro, che sintetizza un concetto filosofico chiave: il bulgaro resiste grazie a uno stoico e malinconico senso di rassegnazione.

Disastri esistenziali e spese folli di Robert Perišić (traduzione di Elvira Mujčić; Bottega Errante Edizioni), è un condensato di ventitré storie ciniche e spassose (a tratti mi hanno ricordato l’humus dei libri di Philip Ó Ceallaigh), che analizzano il senso di smarrimento e disagio di una generazione spettatrice del crollo della Jugoslavia socialista e protagonista della conseguente guerra fratricida. Perišić usa l’ironia, il paradosso e l’inusuale per raccontare le sue cronache. Cronache che vedono protagonisti disadattati aggrediti da pazienti sadiche di un ospedale psichiatrico, giocatori di bocce abitudinari in attesa dell’effimera gloria, borderline di quartieri periferici in cerca di vecchi amici e di improbabili avventure sessuali, anziani partigiani e stranieri che attendono il buio su una panchina a Central Park, donne che scrivono lettere in luoghi imprecisati di un Paese in transizione economica. Quelli de Disastri esistenziali e spese folli sono personaggi assurdi e profondamente umani, a un tratto dal disastro, ritratti nei propri fallimenti e nelle proprie illusioni-disillusioni. Un libro efficace e ben scritto, che condensa magnificamente l’assurdo e il comico con grande intelligenza.

Cemento. Arma di costruzione di massa di Anselm Jappe (traduzione di Carlo Milani, postfazione di Duccio Facchini; Eleuthera), è un’epopea narrativa dedicata a uno dei materiali architettonici più celebri della contemporaneità. Nonostante il libro inizi il 14 agosto del 2018 sul Viadotto Polcevera, a Genova, quando il crollo della struttura provocò la morte di quarantatré persone e cinquecento sessantasei sfollati, il viaggio prosegue in terre e periodi differenti. Mostro che porta a disastri ecologici, reclame del capitalismo, distruttore di tecniche tradizionali, sbeffeggiatore del mondo artigiano, scialacquatore di differenze, il cemento è spesso dipinto come il male. Perché, se è vero che ha cancellato tutte le specificità locali, tutte le consuetudini, e ha imposto il suo regno anche negli angoli più remoti della terra, il cemento è anche possibilità di sviluppo edilizio popolare, basti pensare alla costruzione dei numerosi chruščëvka e bloc dell’area dell’ex Patto di Varsavia e nell’area balcanica. Il testo di Jappe è un excursus storico, attento a spiegare la distinzione tra il calcestruzzo e il cemento armato e a divulgare una diretta critica ecologista nei confronti di un oggi nel pieno di una crisi ambientale senza precedenti.

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