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Si scrive piano Mattei ma si legge Piano Eni-Meloni, il tentativo di portare l’Italia ad avere un ruolo, predatorio, nello sfruttamento delle risorse naturali africane. Domenica 28-29 gennaio la premier Meloni darà il via alla conferenza con i capi di governo africani, ma ha escluso dal tavolo le realtà della società civile africana, i sindacati e le associazioni ambientaliste. Non ci sono dubbi, il vero obiettivo della conferenza è quello di avere gas in cambio dello stop per i migranti e per facilitare questo obiettivo il governo italiano mette sul tavolo 3 miliardi di euro del fondo per il clima italiano. Fondi destinati alla transizione ecologica per avere gas, una bella schifezza! L’amministratore delegato di Eni De Scalzi, intervistato dal Financial Times a proposito dei paesi africani disse:”We don’t have energy, they have energy” (loro hanno energia, noi no) e ancora “dobbiamo aprirci all’Africa, dobbiamo essere i loro compagni di viaggio e aiutarli a svilupparsi”. La premier Meloni ben istruita da De Scalzi, che l’ha accompagnata e ben introdotta negli incontri con i capi di governo nei suoi tour in Africa, pochi mesi fa parlando del piano Mattei affermò: ”oggi abbiamo un problema di approvvigionamento energetico in Europa e l’Africa, è un produttore enorme di energia e se aiutiamo l’Africa a produrre energia per portarla in Europa possiamo risolvere insieme molti problemi, ovvero quello delle migrazioni e quello della sicurezza energetica europea”.

Alla premier Meloni della crisi climatica non interessa nulla e non interessa nemmeno che le politiche predatorie che l’Africa ha subito per lo sfruttamento di risorse naturali come petrolio, gas, uranio e coltan abbiano aumentato la povertà sociale e portato il debito estero africano a 1.100 miliardi di dollari che con il debito interno arriva a 1.800 miliardi di dollari. Vi ricordate la parola d’ordine della destra aiutiamoli a casa loro? Le politiche della Meloni non prevedono nessuna risorsa da destinare alla cooperazione allo sviluppo. Nella legge di bilancio sono stati tagliati i fondi alla cooperazione allo sviluppo, ferma allo 0,30%, allontanando la possibilità per l’Italia di raggiungere l’obiettivo dello 0,70 per cento entro il 2030, come indicato dall’obiettivo 17 dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile dell’ONu. Una scelta politica confermata dalla lettura degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione che registra una riduzione di quasi 50 milioni di euro. L’obiettivo del Piano Meloni-Descalzi è quello di avviare una colonizzazione delle risorse naturali africane a partire dal gas e petrolio che è sempre stato il vero scopo del governo.

Nel 2021, Eni è risultata la seconda multinazionale energetica per attività in Africa, il 60 per cento della produzione globale della società arriva infatti dal continente africano. Gran parte della politica italiana è ancora in vacanza quando Marco Rosario Ferrante viene nominato responsabile e delegato di Fratelli d’Italia per Angola e Mozambico, paesi facenti parte del dipartimento “Italiani nel mondo” del partito della premier Giorgia Meloni. Una nomina non certo casuale, dal momento che Ferrante può vantare più di dieci anni di esperienza lavorativa nella principale multinazionale italiana, partecipata per il 32 per cento dallo Stato, ovvero l’Eni.

Attualmente Ferrante opera presso il dipartimento Production Chemistry and Technical Authority di Azule Energy, joint venture di Eni e BP in Angola, per lo più orientata alla ricerca e produzione di gas fossile. Una nomina passata sottotraccia, sebbene molto rilevante in vista del cosiddetto “Piano Mattei per l’Africa”. Non c’ è solo il gas, ma il progetto Eni di coltivare terre agricole per i biocarburanti in Paesi come Kenya, Congo, Angola, Benin, Costa d’Avorio, Mozambico e Ruanda, dove l’indice di malnutrizione e di morte per fame è più alto. Il 26 dicembre 2023 l’Etiopia ha annunciato il default a causa del suo debito estero. Dal 2020 è il terzo paese africano a dichiarare il default, dopo Zambia e Ghana. 1.800 miliardi di dollari è il debito estero ed interno che compromette il futuro dell’Africa. Nel 2019, oltre trenta Paesi africani hanno speso più per il pagamento del debito che per la sanità pubblica. Se davvero si vuole favorire lo sviluppo del Continente africano, si devono affrontare due questioni: la cancellazione del debito, il raggiungimento dell’obiettivo dello 0,7% dei fondi per l’aiuto allo sviluppo (Aps), l’Italia è ferma allo 0,30%.

Si deve tracciare un nuovo corso per la cooperazione euro-africana, proteggendo le popolazioni africane, gli ecosistemi e la biodiversità del continente, e affrontando l’emergenza climatica. Va inclusa la società civile africana in un processo di partecipazione per garantire gli interessi della popolazione a partire da quella più povera che oggi non ha accesso ai bisogni primari dal cibo alla salute e all’istruzione. Va costruito un modello di cooperazione per la transizione dai combustibili fossili, aumentando le energie rinnovabili per dare una risposta alle esigenze di 1 miliardo di africani. Riaffermare la sovranità alimentare africana riconoscendo il ruolo della crisi climatica nelle migrazioni. L’Africa non può essere trasformata in un enorme gasdotto per l’Italia e l’Europa per trasformare il nostro paese in un hub del gas sabotando così gli obiettivi sul clima. Va riconosciuto il debito ecologico che i paesi più industrializzati hanno nei confronti dell’Africa per i danni che sono stati causati dallo sfruttamento delle risorse naturali. Né è un esempio la povertà del popolo degli Ogoni nel delta del Niger, dove le più importanti industrie petrolifere del mondo estraggono petrolio di alta qualità e la popolazione non ha la luce in casa. Il piano Meloni-Eni ad oggi purtroppo è una strategia predatoria e neo-coloniale che non si differenzia da quello che è stato fatto nel passato e quello che si sta facendo ora con paesi come la Cina.

* L’autore è portavoce nazionale Europa Verde-Verdi e deputato alleanza Verdi e Sinistra

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