Alla fine la questione è molto semplice. Ad avere il coltello dalla parte del manico sono le case automobilistiche. E possono usarlo per mungere a governi e contribuenti incentivi in continuazione. Incentivi di qualsiasi tipo, dai contributi per i clienti che intendono acquistare una nuova auto alle agevolazioni fiscali per le aziende, passando per la diretta compartecipazioni dei governi agli investimenti in nuovi impianti. Nonostante bilanci societari gonfi di utili, l’attività di lobbying è incessante e perpetrata da una posizione di forza. La transizione verso il motore elettrico si è rivelata essere una gallina dalle uova d’oro. I paesi si sfidano a suon di centinaia di miliardi per attrarre all’interno dei propri confini i nuovi stabilimenti tecnologicamente avanzati e “giga factory” che assemblano le batterie, nessuno vuole essere tagliato fuori dalla mobilità del futuro. I produttori hanno a loro disposizione innumerevoli possibilità di scelta e si godono lo spettacolo dei governi che si sfidano a chi offre di più. Con l’elettrico si riduce anche il vantaggio competitivo che può essere offerto da una forza lavoro esperta e capace grazie a lunga tradizione, si pensi alla manodopera di Italia, Germania o Francia dove le auto si fabbricano da secoli. Ma l’assemblaggio delle elettriche è molto più semplice e i pezzi sono assai di meno.

Già da anni la Cina sussidia massicciamente le aziende nazionali di vetture elettriche e il suo campione nazionale, Byd, è diventato il primo produttore al mondo, sopravanzando Tesla. Anche grazie a questi sostegni, i marchi cinesi possono permettersi di offrire sul mercato macchine dal prezzo particolarmente competitivo, per un tipo di motorizzazione che continua ad avere costi mediamente superiori a quella tradizionale. Nel 2022 la sfida tra stati ha fatto un salto di qualità con il varo da parte degli Stati Uniti dell’Inflation Reduction Act, provvedimento con cui lo stato ha deciso di tornare ad intervenire direttamente nell’economia del paese. Non solo ingenti sussidi e incentivi per attrarre investimenti ma anche l’uso del potere fiscale per modellare la struttura produttiva. Tra i punti qualificanti ci sono i massicci fondi messi a disposizione delle auto di nuova motorizzazione, accompagnati da una conditio sine qua non: devono essere prodotte sul suolo americano. Se Volkswagen, Stellantis o Toyota vogliono vendere le loro macchine elettriche in America, beneficiando di un credito di imposta per i compratori di 7.500 dollari, lì devono costruirle.

L’Ue fatica a implementare una strategia unitaria e così la guerra è anche intestina al Vecchio Continente dove ci si imbatte in una giungla di incentivi all’acquisto e d agevolazioni. Chi più ha più offre e non sempre basta. Nonostante il corteggiamento francese, la cinese Byd a fine 2023 ha ad esempio deciso che aprirà un suo impianto nell’Ungheria di Viktor Orban. Il sito sorgerà al confine con la Serbia. La scelta del paese meno allineato con l’establishment di Bruxelles ha un po’ il sapore di uno smacco all’Ue che si pondera tariffe contro le importazioni dalla Cina.

Piaccia o meno Stellantis gioca la sua partita e, onestamente, pensare che possa avere un occhio di riguardo per l’Italia, al di fuori di valutazione di stretta convenienza, sembra davvero una pia illusione. Riconoscenza per il fiume di denari che, in oltre un secolo e in varia forma, lo stato italiano ha riversato in quella che fu Fiat? Lasciamo perdere, tantomeno dopo che il gruppo ha spostato il suo baricentro verso Parigi. Certo, Exor della famiglia Agnelli-Elkann è ancora il primo azionista. Ma gli eredi di casa Agnelli hanno da tempo allentato i loro legami con il paese d’origine. La stessa Exor ha sede in Olanda, è quotata in Olanda e paga le tasse in Olanda. Lo stato francese può almeno contare sulla sua partecipazione diretta nell’azionariato di Stellantis di cui detiene il 6,1%. Tuttavia, anche per l’Eliseo, il braccio di ferro è impegnativo. Diversamente da quanto accade in Italia, ai tavoli con il governo si presenta il numero uno Carlos Tavares ma non sono sempre rose e fiori.

Lo scorso luglio il ministro Bruno Le Maire ha invitato l’amministratore delegato a mostrare un po’ più di patriottismo economico, chiedendo che la produzione della Peugeot e-208 (elettrica) venisse trasferita dalla Slovacchia alla Francia, invece che in Spagna come previsto. Il manager ha replicato che Stellantis, con l’arrivo delle economiche auto cinesi, deve poter offrire al mercato un auto competitiva anche nel prezzo e che la Spagna garantisce costi di produzione più bassi. In soldoni o la differenza ce la mette lo Stato oppure au revoir. La notizia di un rafforzamento della produzione di Stallantis in Marocco, che ha suonato la sveglia a molti osservatori distratti, è insomma solo l’ultimo tassello di un puzzle che si va da tempo formando.

Quello dei soldi è un discorso che l’amministratore delegato periodicamente ripete anche al governo italiano. “Abbiamo chiesto al governo di sostenerci nella produzione di veicoli elettrici. Vogliamo raggiungere il traguardo di un milione di veicoli prodotti, ma ma dobbiamo avere sostegni alla produzione. Da nove mesi chiediamo un sostegno per la vendita di veicoli. Vorrei ringraziare governo che lancerà a febbraio incentivi, ma abbiamo perso nove mesi”, ha bacchettato ieri un incontentabile Tavares subito dopo il varo di nuovi incentivi per l’acquisto di vetture a basso inquinamento. L’attuale normativa prevede un massimo di sconto fino a 5.000 euro nel caso di acquisto di auto elettrica associata alla rottamazione di una vecchia macchina Euro da 0 a 4 (3.000 euro senza rottamazione). Ma nello stesso caso l’incentivo sale a 7.500 euro per chi ha un Isee inferiore a 30.000 euro (4.500 senza rottamazione). A chi acquista invece un’auto ibrida, viene applicato uno sconto di 4.000 euro con rottamazione e di 2.000 senza.

Tavares ha avuto persino il coraggio di fare l’esempio di Mirafiori, storico sito che Stellantis sta lentamente depotenziando. “Abbiamo un impianto dedicato solo ai veicoli elettrici, Mirafiori. Abbiamo perso molti volumi. Se avessimo avuto subito gli incentivi, Mirafiori avrebbe potuto produrre di più”, ha spiegato. Il ministro Adolfo Urso ha messo sul tavolo un’altra caramellina (sempre pagata da noi). Ci saranno incentivi anche sull’usato e l’inclusione delle Euro 5 nella rottamazione per i redditi bassi. In un’intervista a Quattroruote ha spiegato che “Il decreto prevede che alle persone fisiche che acquistano, anche in locazione finanziaria, auto usate con emissioni fino a 160 g/km di CO2, con prezzo fino a 25.000 euro, sarà riconosciuto un contributo di 2.000 euro se è contestualmente rottamata una vettura di classe fino a Euro 4″ . L’estensione alle Euro 5 della platea di auto rottamabili sarà riservata a chi avrà un Isee inferiore a 30mila euro e solo a fronte dell’acquisto di una vettura elettrica o plug-in, ossia con emissioni di CO2 fino a 60 g/km, ha aggiunto.

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