Il 15 dicembre 1978 Il cacciatore, The Deer Hunter, usciva nei cinema americani. Con 45 candeline e in versione restaurata in 4K da Studiocanal torna in Italia dal 22 al 24 gennaio, distribuito come evento speciale da Lucky Red. Più di qualcuno lo avrà visto al cinema tanti anni fa, ma molti di noi giusto tra tivù e videocassette. Con tanto di spot e tagli sul fotogramma per lo spietato adattamento ai 4:3 catodici che caratterizzò i media di fine Novecento. Studiocanal è tornato al negativo originale da 35 mm, scansionandolo con risoluzione 4K a 16 bit. Il restauro è stato completato dalla Silver Salt a Londra, che ha creato una versione 4K DCP da cinema e UHD restaurata per l’home entertainment (dischi e online). Ma guardarlo su grande schermo sarà un autentico tuffo al cuore per ogni spettatore che si farà questo regalo. La pulizia dell’immagine restituisce i dettagli di quegli alberi, “uno diverso dall’altro”, di cui parlava Christopher Walken a Robert DeNiro in una scena. Una nitidezza di suono e immagini che fa brillare ancora meglio gli sguardi di Meryl Streep, e ripulisce dall’offuscamento ogni fotogramma come un vero e proprio monumento rimesso a nuovo.

Negli anni ’70 il giovane Michael Cimino aveva scritto il secondo capitolo dell’Ispettore Callaghan e diretto la sua opera prima, Una calibro 20 per lo specialista. La produzione del Cacciatore lo portò fino in Thailandia, dove le riprese ebbero luogo tra i ratti di Bangkok e le complicazioni portate da un colpo di stato. DeNiro aveva osservato da vicino gli operai siderurgici di una fabbrica americana per ricreare al meglio il suo personaggio, Mike, un uomo della Pennsylvania che dopo il lavoro e le sbronze con gli amici amava la caccia al cervo. Ma Il cacciatore amalgamava con naturalezza tutto ciò che unisce gli uomini e le donne, l’amicizia e l’amore, a ciò che distrugge tutto: la guerra.

Un gruppo di affiatati amici trentenni si divide dopo il matrimonio di uno di loro. In tre partiranno per il Vietnam, una guerra che gli americani vedevano in maniera erroneamente scanzonata, ma che definì in pochi anni il più tragico capitombolo degli Stati Uniti. Il cambiamento dei reduci, le cicatrici dell’anima e del corpo, le relazioni trasformate dalla guerra segnano imponderabilmente lo spettatore quanto i personaggi del film, il più totale sulla guerra in Vietnam. Molte altre pellicole hanno raccontato quel conflitto, ma i grandi Full Metal Jacket, Apocalypse Now e Platoon lo fecero guardando esclusivamente al fronte, mentre la creatura di Cimino ci raccontò quella generazione alle armi osservando anche le zone sociali di pace, il prima contaminato dal presagio e il dopo dalle ferite. Lo fece entrando nelle case, nelle feste, portandoci in montagna a partecipare alle battute di caccia, nelle birrerie e nei supermercati dove lavoravano ragazze come Streep, attrice incredibile fin da qui. Era al suo secondo film, prima solo Julia di Fred Zimmerman. Ricevette la sua prima nomination all’Oscar per la sua Linda nel Cacciatore, e ad oggi sono 21. La tenerezza, il desiderio, la grazia, l’empatia, il tragico ripiego sentimentale e la resilienza di questa ragazza costituiscono la nervatura femminile di un film che, rivisto oggi, possiamo definire un capolavoro totale e senza tempo.

Totale perché dipinge un affresco ampio e profondo su una comunità tipo della workin’ class americana, e senza tempo perché lo fa utilizzando tre grandi temi che attraversano ogni epoca. La regia lavora tanto sulle profondità di campo dove viviamo insieme ai personaggi i momenti felici quanto quelli pericolosi della storia. La struttura narrativa, si è scritto cento volte, è divisa in tre atti, ma ancor più interessante è la sua iniziale coralità, dalla quale pian piano si porta avanti il Mike di DeNiro. È lui l’eroe, l’uomo coriaceo che torna per poi cercare gli altri due amici reduci diventando il protagonista. Le casette ai bordi delle ciminiere industriali si contrappongono alle baracche di prigionieri in Vietnam, le scintille dell’acciaieria alle esplosioni tra i campi, e le montagne verdi americane poi si confondono quasi con il verde delle foreste asiatiche. Sono gli ambienti dove l’amicizia si cementa, mescolati visivamente a quelli dove divampa la tragedia. Il montaggio a schiaffo per le ellissi tra vita in città e improvviso salto tra le imboscate in guerra, le profondità di campo in ogni inquadratura e il lavoro certosino su una recitazione estremamente naturale, il linguaggio quotidiano e l’autenticità della vita di tutti i giorni contro il pudore silenzioso del dolore traumatico dopo il ritorno fanno il capolavoro. Non a caso uno dei migliori film di sempre.

È anche l’ultima interpretazione del grande John Cazale. Con un tumore che lo avrebbe portato via troppo presto interpretò comunque Stan, l’insicuro del gruppo, ma nella vita era legato da un paio d’anni a Meryl Streep, una storia d’amore spezzata tra due artisti che ancora commuove chi la conosce. Il piano di lavorazione fu adattato dalla Universal per l’insistenza di Cimino, DeNiro e della stessa Streep, così le sue scene furono girate per prime. L’attore se ne andò prima della fine delle riprese generali. Il cacciatore ci dice che la vita non è come il maglione di lana sferruzzato da Linda, che si disfa e si adatta con facilità. Ci pone di fronte all’indecisione sentimentale di una donna tra due amici per la pelle, ci parla dell’amicizia nelle sue forme più alte. Non solo condivisione ludica, ma salvezza, dono di vita, sacrificio e rischio fraterno per uscire vivi dal più grande dei guai. Ma ci mostra pure il significato del tornare indietro per occuparsi di chi non ce l’ha ancora fatta, e quindi curare la speranza rispettando la vita. Escamotage di sceneggiatura poiché pratica mai documentata in Vietnam, la metafora della roulette russa, un colpo solo, la sfortuna del proiettile speculare all’audacia di un sol colpo in tempo di pace per prendere un cervo, sottolinea come la guerra distrugge le persone e il tessuto sociale anche di paesi pur lontani dal fronte.

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