Una bomba a orologeria, innescata più di vent’anni fa con la riforma del titolo V della Costituzione, sta per esplodere, facendo a pezzi la Repubblica come l’abbiamo conosciuta finora. L’Autonomia regionale differenziata è arrivata al voto del Parlamento, ma finora pochi cittadini si sono resi conto di quelle che saranno le sue conseguenze, anche perché i media ne hanno parlato ben poco, e anche quelli che le hanno dedicato qualche articolo non l’hanno affrontata con la rilevanza che sarebbe stata necessaria.

Perché da tempo – da anni – sarebbe stato fondamentale portare avanti una capillare campagna di informazione sulle ripercussioni dell’autonomia differenziata sull’unità del Paese e sui diritti dei cittadini, e, a monte, sui principi fondamentali della Costituzione, che rischiano di essere irreversibilmente stravolti.

Ciò che affrontiamo oggi è molto peggio dei passati tentativi di modifica della Carta, ma questa volta, come nel film Dont’ look up, gli anticorpi che avrebbero dovuto reagire non sono stati finora adeguati al pericolo.

I motivi sono molti: un generalizzato senso di rassegnazione e di impotenza della società civile – per la pandemia, le guerre, il trionfo arrogante delle destre –, l’ambiguità di molti partiti oggi di opposizione che, con poche eccezioni, per anni hanno portato avanti proposte di legge non molto dissimili da quella del ministro leghista Calderoli. Partiti che solo ultimamente, in seguito al cambio di leadership o di linea politica, hanno preso una netta posizione contraria. Ma non va neanche sottovalutata la difficoltà di spiegare in modo semplice e comprensibile che cos’è, l’autonomia differenziata, un titolo che evoca respingenti questioni burocratico-amministrative, o che può addirittura apparire positiva, grazie alla rassicurante parola “autonomia”. Quelli che avrebbero dovuto farsene carico, compresi quei giornali e quelle televisioni da sempre impegnati nel sollevare il dibattito su temi importanti, inspiegabilmente, oggi sembrano più interessati alle telenovelas di influencer e panettoni che a informare i cittadini su scelte che cambieranno drasticamente la loro vita e quella delle generazioni future.

Eppure basta scorrere l’elenco delle 20 materie oggi concorrenti Stato/Regioni e delle 3 materie di esclusiva potestà statale che potranno diventare di esclusiva potestà regionale con il passaggio delle relative competenze legislative e gestionali, per rendersi conto della rivoluzione silenziosa che si sta apparecchiando.

Tra le 20 materie che fino a oggi attribuivano alle Regioni la potestà legislativa, ma alla legislazione dello Stato la determinazione dei princìpi fondamentali, e che ora potrebbero passare in blocco alle Regioni che ne fanno richiesta, troviamo: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; tutela e sicurezza del lavoro; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa e altre ancora. Le 3 materie che fino a oggi sono state di competenza esclusiva dello Stato sono quelle relative a: organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull’istruzione e tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Materie di peso, che riguardano il patrimonio di tutta l’Italia, che sarebbero affidate alle maggioranze politiche del momento.

Di fatto l’Autonomia differenziata produrrebbe una divisione del territorio nazionale in tante repubblichette, ciascuna con una propria legislazione per alcune o tutte le materie richieste, con il passaggio delle risorse, del personale, delle strutture collegate alla loro gestione.

E a chi invoca i LEP – Livelli Essenziali delle Prestazioni – come garanzia di un riequilibrio tra le Regioni più ricche e più povere riguardo i diritti civili e sociali che devono essere determinati e garantiti su tutto il territorio nazionale, – le risorse per finanziare l’autonomia sarebbero ricavate dalle entrate fiscali delle singole Regioni – va ricordato che non esiste a oggi nessuna sicurezza che lo Stato possa poi fare fronte alle compensazioni economiche necessarie per i territori più svantaggiati. E va anche ricordato che “Livelli essenziali” non vuol dire “Livelli omogenei”.

L’Italia una e indivisibile, nata dal Risorgimento e dalla Resistenza, con una Costituzione che affida alla Repubblica il “compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” si avvia a diventare il Paese delle disuguaglianze, con distanze sempre più marcate tra Nord e Sud, tra aree interne e aree urbanizzate, tra poveri e ricchi.

Siamo ancora in tempo: uniamo le nostre voci e il nostro impegno per consegnare a chi verrà dopo di noi un’Italia degna del sacrificio di chi ce l’ha consegnata unita e, almeno nella speranza, uguale e solidale. A questo link la diretta che si è svolta il 15 gennaio scorso “Voci contro l’autonomia regionale differenziata” a cura di Carteinregola in collaborazione con Articolo 21.

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