La Corte Costituzionale ha giudicato legittime le norme del jobs act che riguardano i licenziamenti collettivi. La legge voluta dal governo Renzi ha ridotto in modo significativo le tutele che spettano ai lavoratori illegittimamente licenziati, sia singolarmente, sia nell’ambito di una procedura collettiva. In particolare si riducono di molte le situazioni in cui il datore di lavoro è tenuto al reintegro a favore di un semplice risarcimento economico la cui entità cresce con l’anzianità di servizio. Ciò, si ripete, vale sia a livello individuale che collettivo e la Consulta ha oggi sancito la legittimità di queste disposizioni. Considerando anche i lavori parlamentari e la finalità complessiva perseguita dal Jobs Act, la Corte ha ritenuto che il riferimento contenuto nella legge di delega ai “licenziamenti economici” riguardasse sia quelli individuali per giustificato motivo oggettivo, sia quelli collettivi. Di fatto il datore di lavoro può licenziare quasi sempre il dipendente anche se non ne ricorrono i presupposti, “liberandosi” con il pagamento di una somma al lavoratore.

La Consulta si è espressa in conseguenza di una pronuncia della Corte d’appello di Napoli che aveva censurato la disciplina dei licenziamenti collettivi quanto alle conseguenze della violazione dei criteri di scelta dei lavoratori in esubero. E ha sentenziato che questa censura è invece infondata, non ci sono violazioni della legge delega che concerna sia casi indiviudali che collettivi. Inoltre la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata anche la censura di violazione del principio di eguaglianza, comparando i lavoratori “anziani” (quelli assunti fino al 7 marzo 2015), che conservano la più favorevole disciplina precedente e quindi la possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro, e i lavoratori “giovani” (quelli assunti dopo tale data), ai quali si applica la nuova disciplina del Jobs Act. Il riferimento temporale alla data di assunzione consente di differenziare le situazioni: la nuova disciplina dei licenziamenti – spiega la Consulta – è orientata ad incentivare l’occupazione e a superare il precariato ed è pertanto prevista solo per i “giovani” lavoratori. In realtà l’età anagrafica non sempre corrisponde a quella di servizio ed è quindi discriminante per il tipo di tutela. Ad esempio un cinquantenne con 20 anni di lavoro alle spalle che viene assunto da un nuovo datore ricade pienamente sotto il regime del jobs act a tutele ridotte, a meno che il contratto di lavoro non preveda espressamente diversamente.

La Consulta spiega che il legislatore non era tenuto, sul piano costituzionale, a rendere applicabile questa nuova disciplina anche a chi era già in servizio. Infine la Corte ha ritenuto non inadeguata la tutela indennitaria. Attualmente al lavoratore illegittimamente licenziato all’esito di una procedura di riduzione del personale spetta un’indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari al numero di mensilità, dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità. La Corte ha anche ulteriormente segnalato al legislatore che “la materia, frutto di interventi normativi stratificati, non può che essere rivista in termini complessivi, che investano sia i criteri distintivi tra i regimi applicabili ai diversi datori di lavoro, sia la funzione dissuasiva dei rimedi previsti per le disparate fattispecie”.

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