di Marco Bertolini

Diceva Mario Monicelli in una bella intervista: “Quello che in Italia non c’è mai stato, una bella botta, una bella rivoluzione, rivoluzione che non c’è mai stata in Italia… c’è stata in Inghilterra, c’è stata in Francia, c’è stata in Russia, c’è stata in Germania, dappertutto meno che in Italia. Quindi ci vuole qualcosa che riscatti veramente questo popolo che è sempre stato sottoposto, 300 anni che è schiavo di tutti”.

Proprio in questi giorni, anche se la cosa sta passando in sordina nei media italiani, si assiste alla potente protesta dei contadini tedeschi, che con schiere di trattori strombazzanti hanno portato in piazza le loro ragioni e che si sono trascinati dietro la solidarietà di altre categorie e di tanti cittadini, evidentemente stufi di come stanno andando le cose nel paese europeo simbolo di prosperità e potenza per eccellenza. Qualche anno fa la Francia è stata paralizzata per settimane e settimane dai famosi gilet gialli, con una rivolta che pareva inarrestabile e che ha messo in non poco imbarazzo il presidente Macron. In entrambi questi casi non stiamo parlando certo di rivoluzioni, ma di minimi sindacali, di proteste sacrosante di fronte a situazioni degradate, di malessere sociale che cerca di trovare una valvola di sfogo. Almeno questo sì.

In Italia sono stati da poco riportati i dati sulla mancata crescita dei salari reali negli ultimi 30 anni: la maggioranza degli italiani ha stipendi uguali a quelli di 30 anni fa, mentre tutto nel frattempo è lievitato anno dopo anno. Non solo, ma siamo il solo paese europeo che ha avuto questa dinamica, il classico fanalino di coda. E questo dato non rappresenta di certo l’unico nostro grosso problema che ci ha portato ad essere uno dei paesi più malmessi dell’occidente. Come mai quindi tutto procede come se nulla fosse? Non so darmi una risposta certa o perlomeno bisognerebbe andarla a cercare nel nostro lontano passato, fatto di secoli e secoli di divisioni e dominazioni straniere, di sottomissioni alle varie mafie e potentati di turno, di un’atavica rassegnazione per cui si è convinti che nulla cambierà mai e che non valga la pena metterci la faccia o lottare per nessun cambiamento reale. Siamo il paese del Gattopardo e Tangentopoli docet (viene da rimpiangere la Prima Repubblica).

Vedremo quanto la corda potrà ancora tirarsi e soprattutto vedremo cosa saremo capaci di fare quando si sarà spezzata, anche se temo nulla di nulla.

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