Il 16 gennaio 1994, esattamente 30 anni fa, il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro scioglieva le Camere e calava così il sipario su quella che, con una formula tutta politica e poco giuridica, ci è stata consegnata come ‘la Prima Repubblica’. Non c’era stata nessuna crisi di governo – come di solito accade prima di uno scioglimento del Parlamento – ma la decisione, spiegava lo stesso Scalfaro nella lettera a Ciampi, allora Presidente del Consiglio, affondava le radici “nel radicale cambiamento delle regole elettorali imposto dal referendum popolare del 18 aprile 1993, nonché nei profondi mutamenti emersi nel corpo elettorale e nelle stesse realtà politiche organizzate”. Quello che seguì lo ricordiamo tutti, a cominciare da quella discesa in campo televisiva appena dieci giorni dopo.

La riflessione su quella transizione, Prima Repubblica, Seconda Repubblica e così via, è amplissima e anche molto variegata. Né, probabilmente, è una riflessione già conclusa. Vale solo la pena non lasciarsi prendere da facili entusiasmi e ricordare forse che sì, certamente molto è cambiato sul piano dell’offerta politica e dei suoi stili, ma le ricadute son state in fondo meno significative di quello che si potrebbe credere.

I governi sono continuati a cadere per crisi extra-parlamentari, senza una vera e propria mozione di sfiducia votata dal Parlamento; solo il povero Prodi, nel 1998 e nel 2008, ha perso su un voto di fiducia, ma che era stato lo stesso governo a sollecitare ponendone la questione su una sua proposta, e non dunque su iniziativa delle Camere. E poi, dura tutto così poco. Dal 2011 si riespande ancora il ruolo del Presidente della Repubblica nella formazione dei governi, con i partiti di nuovo in crisi. Nel 2013 finisce l’illusione bipolare, e nel 2018 abbiamo il primo governo partecipato da due partiti che non sono stati protagonisti di quella Seconda Repubblica che ormai sembra già finita.

Allora, più che celebrare una transizione che ci riesce ancora difficile valutare con sicurezza, può essere invece utile celebrare le virtù della transizione. Sei anni fa, il 12 settembre 2018, il Presidente Sergio Mattarella teneva un discorso nel centenario della nascita di Oscar Luigi Scalfaro, che varrebbe la pena recuperare per la ricchezza di indicazioni che ne vengono non tanto sulla figura del suo predecessore, ma – appunto – sulle virtù che dovrebbero guidare una transizione politica. Mattarella ne segnalava in modo particolare due, di cui la prima è rappresentata dalla convinta adesione ai valori costituzionali. “Tornare alla Costituzione, ai suoi valori autentici, ai comportamenti dei fondatori era, per lui, la strada maestra per recuperare efficacia e credibilità all’azione della politica. Riuscire a salvare le istituzioni repubblicane, e quindi l’equilibrio dei poteri disegnati dalla Costituzione, mentre tutto sembrava franare intorno a esse, fu la sua sfida“.

Il che non significa trincerarsi in un ‘conservatorismo istituzionale’. Scalfaro “non aveva mai escluso la possibilità di riformare la Costituzione, in una prospettiva di aggiornamento, che lasciasse però intatta la parte dei principi e, in quella ordinamentale, mantenesse ferma la centralità del Parlamento e l’equilibrio dei poteri disegnato dai costituenti” (corsivo aggiunto).

E poi, la seconda virtù che il Presidente pare riconoscere al suo predecessore è un deciso rigetto di quella che è invece oggi una diffusa soteriologia delle riforme. “Probabilmente era la sua formazione culturale, unita alla lunga esperienza di uomini e di vicende, che lo spingeva a non riporre la sua fiducia esclusivamente nell’ingegneria costituzionale, nell’efficacia risolutiva delle norme. Ma, piuttosto, a individuare nella coscienza delle persone, e nei loro conseguenti comportamenti, la chiave, indispensabile, per determinare processi virtuosi nella politica, nell’economia, nell’azione sociale”.

Sembrano tanto lontane, queste virtù, dai due inganni che le semplificazioni della realtà ad uso elettorale propongono da mesi. Due inganni pericolosissimi. Che modificare nel senso proposto dal governo la nostra Costituzione mantenga ferma la centralità del Parlamento e l’equilibrio dei poteri. E che, riformata la Costituzione, saranno risolti tutti i problemi (almeno politici) del nostro Paese.

In questa nuova transizione, servirebbero ancora uomini come Scalfaro. Servirebbero ancora uomini con le sue virtù.

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