L’anno che è da poco iniziato farà segnare un record in termini elettorali e porterà centinaia di milioni di persone in tutto il mondo a esercitare il diritto al voto. Diverse saranno le condizioni nelle quali avverranno questi comizi, così come diverse sono le sfumature della democrazia, sistema di convivenza sociale sicuramente perfettibile e che negli ultimi anni ha fatto vedere come possano emergere al suo interno preoccupanti distorsioni. L’Unione Europea, l’India, gli Stati Uniti d’America, la Russia, l’Indonesia sono alcuni dei luoghi nei quali i cittadini verranno chiamati a scegliere chi dovrà guidare il paese, ma cosa succederà in termini di voto in America Latina e nei Caraibi nel 2024?

Anche questo subcontinente sarà soggetto a importanti appuntamenti elettorali, offrendo nuovi spunti per capire se la tendenza della vittoria degli “outsider” non sia stato un caso isolato del 2023. Nell’anno trascorso infatti possiamo ricordare le vittorie di Daniel Noboa in Ecuador, di Bernardo Arévalo in Guatemala e di Javier Milei in Argentina, a testimoniare come le opposizioni e più in generale candidati non considerati “favoriti” abbiano poi trionfato nelle urne.

Il primo paese ad andare al voto sarà il Salvador di Nayib Bukele, che dovrà eleggere il suo “nuovo” presidente il 4 febbraio. Un caso quantomeno peculiare se consideriamo che, nonostante sia proibita la possibilità di rielezione immediata dalla Costituzione del paese centroamericano, il presidente uscente, che gode di una enorme popolarità, a meno di improbabili colpi di scena sarà nuovamente confermato nell’incarico che ricopre dal 2019. Per spiegare come questo sia possibile dobbiamo scoprire l’escamotage giuridico usato dal “dittatore più cool del mondo” (come lui stesso si era ironicamente definito nel 2021 su Twitter nell’account ufficiale della presidenza).

In primo luogo Bukele ha fatto approvare nel 2021 dalla Corte Suprema di Giustizia la possibilità di poter essere rieletto, successivamente per aggirare il concetto di “immediata” si è fatto approvare dal Congresso, controllato da parlamentari del suo partito Nuevas Ideas, una licenza (insieme al suo vicepresidente Félix Ulloa) che gli permetterà di assentarsi dall’incarico presidenziale per 3 mesi prima delle elezioni. Al suo posto ha collocato la sue segretaria personale, Claudia Juana Rodríguez de Guevara, che ha assunto, con funzioni ridotte, la massima carica dello Stato ad interim.

Anche Panama, dopo gli sconvolgimenti dovuti alle proteste esplose per il contratto minerario firmato tra il governo e la filiale della compagnia mineraria canadese First Quantum Minerals (dichiarato incostituzionale dalla Corte Suprema di Giustizia a fine novembre), andrà al voto nel primo semestre del 2024. Le votazioni si realizzeranno il 5 maggio e in quella data, a maggioranza semplice (senza dunque la necessità di un ballottaggio), verrà eletto il presidente e il vicepresidente della Repubblica, 20 deputati del Parlamento Centroamericano, 71 deputati dell’Assemblea Nazionale, 81 sindaci distrettuali, 702 rappresentanti dei comuni e 11 consiglieri. Ad oggi il candidato favorito, con più di 30 punti di vantaggio secondo le previsioni rispetto agli altri 7, è il leader dell’Alleanza per Salvare Panama, Ricardo Martinelli. Imprenditore molto conosciuto, Martinelli ha già ricoperto la carica di Presidente della Repubblica del paese centroamericano tra il 2009 e il 2014, finendo però successivamente in vari casi giudiziari che potrebbero impedirgli di potersi realmente presentare alle elezioni. Sul magnate di 71 anni pesa un processo per il caso di corruzione dell’impresa brasiliana Odebrecht, ma soprattutto una condanna per il caso di corruzione conosciuto come “New Business” arrivata nel 2023, di quasi 11 anni di carcere (condanna per la quale Martinelli ha fatto appello).

Spostandoci nei Caraibi, arriviamo il 19 maggio nella Repubblica Dominicana (in realtà le prime votazione per sindaci e consiglieri si terranno il 18 febbraio). A differenza di quello che succede per Panama, nel caso della Repubblica Dominicana è previsto un ballottaggio, che verrà realizzato, nel caso fosse necessario, il 30 di giugno. Anche qui i candidati sono 8, però in questo paese è prevista la possibilità di una rielezione consecutiva del presidente: attualmente Luis Abinader del Partito Rivoluzionario Moderno per il momento (e ancora molto presto per sondaggi realistici) risulterebbe favorito.

Il 2 di giugno sarà la volta del Messico, guidato da Andrés Manuel López Obrador (AMLO), dove si dovrà decidere se dare continuità al partito Morena attualmente al governo o cambiare direzione politica. Per Morena (il partito dell’attuale presidente) la candidata sarà Claudia Sheinbaum, che si presenta come riferimento per l’alleanza Seguimos Haciendo Historia. I partiti tradizionali Pan, Pri e Prd hanno fatto fronte comune per provare a sconfiggere Morena e presenteranno come opzione presidenziale Xóchitl Gálvez, alla guida del Frente Amplio por México. Vada come vada, visto le poche probabilità di una opzione alternativa a Sheinbaum e Gálvez, il 2024 sarà l’anno della prima donna eletta come presidente della Repubblica in Messico.

Nel secondo semestre, il 27 di ottobre, si svolgeranno le elezioni presidenziali in Uruguay, comizi che ancora non hanno nomi chiari nell’orizzonte visto che i candidati saranno dichiarati a giugno, dopo le elezioni interne dei partiti principali. Qui la sinistra del Frente Amplio (la coalizione che portò alla presidenza Pepe Mujica) proverà a ritornare al potere, approfittando dell’impossibilità della rielezione dell’attuale presidente del Partito Nazionale, Luis Lacalle Pou.

Poi ci sarebbe il Venezuela, le cui controverse elezioni presidenziali “sarebbero” state pattuite per il secondo semestre 2024, ma questo merita un approfondito e dettagliato post a parte.

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