Ormai sono in molti a Reggio Calabria a domandarsi se il sindaco Giuseppe Falcomatà sia ancora iscritto al Partito democratico. Leggendo la cronaca politica degli ultimi giorni, sia quella cittadina che nazionale, infatti, per dirla con le parole di un navigato esponente dem, la sensazione è che piuttosto sia “un infiltrato di Renzi all’interno del Pd”. Se sia effettivamente così, il tempo lo dimostrerà. Al momento l’unica certezza è che a un anno e mezzo dalle comunali il rischio è di consegnare la città al centrodestra che, a Palazzo San Giorgio, ha già presentato una mozione di sfiducia.

Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire cosa sta succedendo tra il sindaco e il “suo” partito, dopo che già in passato gli aveva “perdonato” l’aver messo in giunta un’ex deputata del Popolo della Libertà dopo aver cantato “Bella ciao” per festeggiare la vittoria elettorale. L’ultima, in ordine di tempo, è la questione del Ponte sullo Stretto. La giravolta di Falcomatà prende slancio nel 2014, quando nel programma elettorale aveva scritto che “è evidente che la futura amministrazione della città metropolitana opporrà un secco ‘No’ al ponte sullo Stretto”. “La nostra terra – sosteneva – non ha bisogno di altre cattedrali nel deserto, di altri pacchetti Colombo per sopire la coscienza dei cittadini dell’area metropolitana dello Stretto”. Dopo la prima elezione, il sindaco aveva ribadito il concetto ai microfoni di Sky e rassicurato i suoi elettori: “La mia posizione è che non serve un ponte per unire le due sponde. Sono molto convinto che rendere finalmente lo Stretto patrimonio dell’umanità possa, in termini di risonanza mondiale, in termini di pubblicità, essere molto più importante di qualsiasi infrastruttura”.

Le sue convinzioni, però, con gli anni si sono sbiadite. A partire dal 2016, dopo che Renzi (il sindaco era un renziano di ferro, ndr) ha aperto all’ipotesi Ponte. Quando l’ex premier dichiarò che l’opera “può creare 100mila posti di lavoro” e si disse pronto a sbloccarla se Salini-Impregilo fosse stata “nelle condizioni di portare le carte e sistemare ciò che è fermo da 10 anni”, Falcomatà lo seguì a ruota: “Dobbiamo essere visionari – disse sempre su Sky – se il ponte è inserito in un sistema complesso che comprende aeroporti e porti, alta velocità e infrastrutture, allora è un bene, da solo sarebbe una cattedrale nel deserto”.

Nel 2019 il “volteggio” del politico reggino prosegue (“Bisogna fare uno sforzo culturale, uscire dalla logica ‘Ponte sì, Ponte no’, ma ragionare sul Ponte”) fino ad arrivare a mercoledì quando la piroetta di Falcomatà si è chiusa con la partecipazione al convegno “Palermo/Helsinki: il corridoio con il ponte sullo Stretto per lo sviluppo sostenibile del Mezzogiorno d’Europa”. Promosso dall’Ordine degli Ingegneri e dall’Università Mediterranea, l’incontro ha registrato la presenza del sindaco al fianco del viceministro alle infrastrutture Edoardo Rixi (Lega), del presidente della “Stretto di Messina Spa” Pietro Ciucci e dell’amministratore delegato di Webuild Pietro Salini. Nell’aula magna dell’Ateneo, Falcomatà si è detto favorevole all’opera riesumata da Matteo Salvini: “Il ponte è un tassello, un elemento all’interno di un sistema intermodale più complesso”. E ancora: “Il ponte sullo Stretto deve essere l’occasione anche per ridurre le distanze e l’isolamento con il completamento e la realizzazione di una rete autostradale, all’interno del territorio metropolitano finalmente moderna”.

Peccato che, poche settimane fa, incontrando l’ex sindaco di Messina Renato Accorinti, la segretaria del Pd Elly Schlein abbia ribadito il “No al ponte” del suo partito che lo scorso maggio ha votato contro il decreto del governo. Decreto definito dal segretario calabrese del Pd, il senatore Nicola Irto, solo uno “spot”, visto che Salvini intende dirottare sull’opera le risorse del Fondo di sviluppo e coesione destinate alla Regione Calabria. Uno “spot” che per il sindaco del Pd Falcomatà è, invece, “un’occasione”. Ma l’infrastruttura non è l’unico argomento che vede Falcomatà più vicino ai renziani di Italia Viva e al centrodestra che al Partito democratico. C’è pure l’abolizione del reato di abuso d’ufficio “sbianchettato” dal ministro Nordio e dal governo Meloni con il voto contrario di Pd, M5S e Alleanza Verdi e Sinistra.

“Se il provvedimento è proposto da un ministro di destra e si ritiene sia giusto, non vedo perché il Pd debba mettersi di traverso”, è stato il commento di Falcomatà al Corriere della Sera all’indomani della sentenza della Cassazione che lo ha assolto dal reato di abuso d’ufficio restituendogli la poltrona di sindaco dopo due anni di sospensione in seguito alle condanne in primo e secondo grado rimediate nel processo “Miramare”.

Due anni di sospensione durante i quali il Comune di Reggio Calabria è stato retto da un vicesindaco di Italia Viva, Paolo Brunetti, nominato poche ore prima che la Severino lo costringesse a uno stop forzato. Ritornato vicesindaco, dopo la decisione della Suprema Corte, Brunetti è l’unico rimasto al suo posto dopo l’azzeramento della giunta voluto da Falcomatà il 6 gennaio nonostante, per sua stessa ammissione, gli assessori uscenti “hanno lavorato molto bene” e, dal bilancio (reduce da anni di piano di rientro) al welfare passando per i concorsi pubblici appena espletati, hanno “portato a termine i loro obiettivi”. “Mi sento con la coscienza a posto. – si sfoga amareggiato uno di loro – Ho fatto il mio dovere e per una questione che non capisco sono stato fatto fuori”. Gli fa eco un altro assessore defenestrato: “Le scelte di Falcomatà sono irrazionali rispetto al percorso finora seguito. Scelte lontane da ogni logica politica”.

In un colpo solo, Falcomatà ha fatto fuori quasi un’intera giunta i cui componenti alle elezioni del 2020 gli avevano portato in dote 12mila voti garantendogli un’altra legislatura. Un “azzeramento” rivelatosi di fatto un “rimpastino” per il quale il sindaco è in rotta di collisione con tutto il centrosinistra. Se da una parte, infatti, nella nuova giunta non ci sono né i Democratici progressisti né i socialisti, dall’altra rimangono i tre posti lasciati vuoti del Pd che non ha voluto dare a Falcomatà i nomi dei nuovi assessori. In sostanza il partito del sindaco, per il momento, è rimasto fuori da un esecutivo monco. Sullo sfondo c’è chi ha ingoiato il rospo e chi si lamenta di dover tornare a lavorare non godendo più dell’aspettativa che si era preso per poter svolgere il suo ruolo di assessore. Interessi personali, che poco hanno a che fare con la politica, al netto di quali è pur vero che, in queste ore, c’è un canale di trattativa per trovare un accordo che non assomigli a una “calata di braghe” né per il Pd né per Falcomatà. Se non si dovesse raggiungere la quadra, il piano B lo svelano i corridoi di Palazzo San Giorgio dove c’è aria di campagna acquisti e circolano indiscrezioni su proposte di assessorato fatte a chi ha sempre votato contro la maggioranza. Ma anche possibili aperture dei “falcomatiani” a pezzi del centrodestra che, nei giorni scorsi, ha presentato una mozione di sfiducia minacciando di ritornare al voto tra tre mesi. A firmarla sono stati 13 consiglieri dell’opposizione. Almeno fino a quando la regola del “tengo famiglia” non li porterà ad accorgersi degli effetti dell’ultima legge di bilancio del governo Draghi che, per i consiglieri delle città metropolitane, dal 2024 ha alzato il valore dei gettoni di presenza e ha previsto un compenso massimo di 3450 euro lordi al mese. Sempre meno dei 13800 euro di stipendio che percepirà un sindaco, dei 10350 euro del vicesindaco e degli 8970 euro degli assessori.

E intanto, mentre la città aspetta i giochi di palazzo San Giorgio, c’è chi, all’interno del centrosinistra è scettico: “Perché dovremmo credere che in un anno e mezzo di legislatura si farà tutto quello che non è stato fatto in quasi 10 anni?”. E c’è pure chi ammette che aveva ragione Tonino Perna, un professore universitario, una persona stimata in tutta la Calabria che Falcomatà aveva nominato vicesindaco all’inizio della seconda legislatura. Nel 2021, avrebbe dovuto reggere il Comune durante la sospensione del sindaco che, però, poche ore prima della condanna per abuso d’ufficio, lo ha rimosso senza nemmeno comunicarglielo. Inevitabili le dimissioni accompagnate da un’analisi impietosa del docente universitario: “Falcomatà è una figura complessa. – aveva affermato Perna in conferenza stampa – Meriterebbe uno studio particolare. In giunta non era tollerato nessun dissenso e gli assessori erano reticenti a prendere la parola e a fare un dibattito franco”. Dibattito che, adesso, è obbligatorio per uscire dal guado.

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