Prima Platt, poi Dezotti: il record comincia da lì. Un record che dice che se ti trovi di fronte a Pino Taglialatela e devi battere un calcio di rigore al cinquanta per cento te lo prenderà. Percentuale record che resiste ancora: su 27 rigori contro in Serie A ne ha parati 13, i primi due, consecutivi, a Platt della Samp e Dezotti della Cremonese trent’anni fa, a Gennaio del 1994. “Il segreto? Studiavo. E mica c’era Youtube all’epoca. No, ore e ore di vhs per capire come calciavano gli attaccanti: ad esempio a furia di guardare video capii che Beppe Signori prendeva rincorse di due o tre passi. Con due passi tirava in un modo, con tre in un altro: glielo presi”. E in tanti si sono fermati su quei guantoni: da Baggio a Ruben Sosa, da Chiesa a Batistuta: “Paradossalmente era più facile prenderli ai rigoristi perché sapevo come li tiravano… Mi hanno fatto gol quelli che li tiravano più raramente”. Un sogno, parare quei rigori, cominciato da quando era bambino: “Sempre in porta: sono di Ischia. E a Ischia cosa fai da bambino? Giochi a pallone sulle spiagge. E a me piaceva volare: ero spericolato, tanto che andavano da mia madre e le dicevano “ho visto Pino che si tuffava così, ho visto Pino fare capriole pericolose” e così via. Sono sempre stato portiere dentro”.

E napoletano pure, dentro, col sogno dell’azzurro: “Un giorno mio padre, grande tifoso, mi portò a vedere Napoli-Roma nel 1978, io avevo nove anni. Il Napoli vinse uno a zero, segnò Pellegrini e io dissi a mio padre: un giorno voglio giocare qui. Lui si mise a ridere, però poi ci sono riuscito”. Entra nel vivaio da ragazzino, era il 1985, sogna Zoff, e ha un maestro d’eccezione come il Giaguaro Castellini. E in quel Napoli c’è Diego: “Ero un ragazzino e grazie a lui ho avuto il mio primo contratto importante, mi portava a mangiare spesso a casa sua con Claudia. Una persona meravigliosa, gli devo tanto, tutto forse”. E dopo due stagioni tra Palermo e Avellino arriva l’esordio, a Cosenza in Coppa Italia, ovviamente parando un rigore, stavolta a Gigi De Rosa; poi in campionato, contro la Juventus: “Avrei potuto anche smettere dopo quel momento”. Cresce la considerazione che quel ragazzo di Ischia è forte, e ci si può puntare, talmente forte che secondo alcuni Giovanni Galli, titolare all’epoca, non lo volesse come secondo. “Non è vero – dice Taglialatela – da Giovanni ho imparato moltissimo e non è vero che non mi volesse. Semplicemente ero io che non volevo l’etichetta del numero 12, per questo chiesi di andare a giocare”. E allora torna a Palermo e poi a Bari e nell’estate del 1993, quando la società ha già problemi economici e con Galli che passa al Torino, si punta su di lui: “Fu allestita una squadra con varie difficoltà: molti prestiti, molti giovani e soprattutto Bianchi scelse Lippi in panchina, facendo un capolavoro. Giocavamo senza prendere lo stipendio per lunghi periodi, la società era praticamente inesistente eppure facemmo un patto di ferro e fu un anno magnifico che ci portò in Europa”.

E persi i punti di riferimento di un tempo, da Maradona a Careca e poi Zola, per strada e sulla bancarelle di Napoli compare anche la maglia del portiere, di quel Pino, napoletano, che tra i pali si trasforma in Batman: nel cuore della gente c’è lui. Da Gotham al San Paolo, e pure in trasferta, come quando a San Siro nel 1995 para pure quello che non si vede, un rigore a Baggio e poi una parata metafisica su Savicevic: “Forse per il contesto quella su Savicevic è la parata più importante, ma stilisticamente ne ho fatte altre, una con la Cremonese ad esempio. Castellini mi diceva: ‘Finché non vedi che la palla è dentro, non arrenderti’, quell’intervento con la Cremonese va proprio in questo senso, di quelli che in allenamento su dieci volte ti riesce una o due”. Eppure un rimpianto c’è: “Meritavo la nazionale? Sì, io dico di sì: almeno una convocazione l’avrei meritata, in particolare nel periodo ’94-’96. Non che i colleghi che venivano chiamati all’epoca, tutti fortissimi, non la meritassero eh, ma in quel biennio credo proprio che almeno una convocazione in azzurro l’avrei meritata, ma va bene così”.

L’azzurro, per Taglialatela, è rimasto quello del Napoli, anche nei momenti più brutti: una delle immagini simbolo di quel periodo è di lui che piange, abbracciato da Fabio Cannavaro dopo che la sconfitta col Parma sancì il ritorno in B dopo oltre trent’anni nel 1998. “La verità è che io ero uno che per il Napoli stava male: quella retrocessione fu una ferita enorme e non mi sono più ripreso. Ma rifarei tutto quello che ho fatto: oggi vengo travolto da un mare di affetto e significa che il popolo napoletano apprezza quello che ho fatto”. Restò per un po’ in B, poi andò via: secondo di Toldo a Firenze, poi a Siena e infine Benevento e Avellino. Oggi è presidente dell’Ischia, in Serie D: “E mi piace tanto: l’organizzazione dirigenziale mi coinvolge molto. Il Napoli? Sono tifosissimo ovviamente, ma non ne parlo: in carriera mi hanno sempre dato fastidio gli ex calciatori che pontificavano in particolare sulle situazioni di difficoltà. Il Napoli oggi è forte ed è motivo di orgoglio, conta questo”.

Articolo Precedente

Caldo estremo e mancanza di ossigeno: l’aereo con la nazionale del Gambia costretto all’atterraggio d’emergenza. Le immagini

next
Articolo Successivo

Mourinho, Roma e la Roma: un incantesimo agli sgoccioli. E al risveglio sarà l’ennesimo anno zero – L’ANALISI

next