Accentuare le divisioni interne. L’uccisione a Beirut di Saleh Al Arouri, numero due di Hamas, e le due bombe esplose ieri in Iran, vicino alla tomba del comandante Qasem Soleimani, non sono solamente una ritorsione israeliana – anche se Tel Aviv non ha rivendicato – contro Hamas e l’Iran. La distanza temporale, appena quarantotto ore, e gli obiettivi scelti, sembrano prendere di mira Teheran e l’ala filo iraniana all’interno di Hamas che ora si trova in difficoltà politica. “Arouri – ha raccontato Udi Levy, per trent’anni al servizio del Mossad in dichiarazioni riportate dai media arabi – era l’uomo dell’Iran all’interno del movimento islamista palestinese: la maggior parte dei soldi che arrivano provengono da Teheran”.

Il numero due di Hamas, al Arouri, è stato infatti descritto dalla stampa come l’uomo di congiunzione fra Hamas, Iran e Hezbollah, capace di intessere legami e dare garanzie agli ayatollah. Questa capacità relazionale, insieme al fiume di dollari iraniani che ha rimpiazzato quelli provenienti dal Qatar, ha fatto prevalere nel tempo l’anima filo iraniana all’interno del movimento che governa la Striscia. I segnali più recenti di tensioni fra le varie correnti si erano visti a dicembre quando, riporta un articolo del Wall Street Journal, alcune fonti palestinesi riferivano di colloqui fra Hamas e Fatah riguardo alla fase di transizione post conflitto a Gaza. Yahya Sinwar, leader di Hamas dentro la Striscia, non ne sarebbe stato a conoscenza e, una volta informato, avrebbe chiesto il fermo di qualsiasi dialogo con il governo di Abu Mazen. “Non c’è nessuna divisione: i leader del movimento a Doha, in Qatar, e nella Striscia sono concordi in tutte le strategie e visioni politiche” aveva gettato acqua sul fuoco Husam Badran, rappresentante dell’ufficio politico di Hamas, a cui il quotidiano americano aveva chiesto chiarimenti.

A credere che ormai esistano correnti in contrasto dentro la leadership di Hamas è anche Hamid Qarman che, sul giornale arabo Al Arab, in una analisi dell’aprile scorso aveva parlato di due correnti principali. “Quella iraniana, rappresentata da Yahya Sinwar (a Gaza) e da Ismayl Haniyeh (a Doha), che vuole usare Hamas come carta negoziale e strumento per i suoi interessi espansionistici in Medioriente”. Poi, continua, “c’è quella dall’asse Turchia – Qatar, incarnata da Khaled Mashaal” che nel 2012, “in contrasto con la repressione del regime siriano contro la sua stessa popolazione”, aveva annunciato il trasferimento del movimento da Damasco a Doha. Una mossa, questa, che non aveva trovato il consenso in tutta la leadership di Hamas.

Mahmoud al-Zahar, altro leader del movimento palestinese, si era infatti opposto al “ritiro da Damasco”. E proprio in opposizione con Mashaal, sempre nel 2012, aveva “visitato la Siria e incontrato funzionari della sicurezza per riconfermare la profondità del rapporto con Hamas, come se – ha spiegato Mustafa Abu Amsha, scrittore palestinese sentito dal sito Iranwire – avesse voluto dire che un’ala di Hamas voleva mantenere un rapporto con la Siria e l’Iran”. E così è stato, anche dopo l’interruzione – solo di facciata – dei rapporti del movimento con Damasco e Teheran. “Zahar ha continuato a visitare la Siria e rilasciare ripetute dichiarazioni in sostegno del regime di Damasco e di quello iraniano” ha concluso lo scrittore palestinese.

Nonostante questo legame di ferro fra il movimento islamista palestinese e Teheran “a volte c’è, però, una contraddizione tra ciò che vuole l’Iran e ciò che vuole Hamas per i palestinesi, per il futuro della Striscia o – ha analizzato Naji Shurrab, professore di scienze politiche a Gaza, interpellato da Iranwire – riguardo alla stessa guerra con Israele e le relazioni con i paesi arabi”. Hamas, ha continuato il docente, “sta cercando di trovare un equilibrio: si rende conto che in definitiva è un movimento sunnita e arabo, conosce le contraddizioni tra l’Iran e i paesi arabi, sa che la sua radice araba deve essere una priorità e per questo non può ignorare il ruolo di paesi come l’Egitto”. Ma le risposte, sotto forma di strategia politica, possono arrivare solo con una unità di intenti che, invece, sembra lasciare spazio a diatribe interne a discapito di una popolazione oltremodo sofferente.

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