Nel 2024 festeggerà il suo diciottesimo compleanno una delle riforme più importanti del comparto (e del mercato) assicurativo italiano: quella introdotta con decreto legislativo nr. 209/2005 entrato in vigore, appunto, il primo di gennaio del 2006 e meglio conosciuta come Codice delle Assicurazioni private.

Che bilancio possiamo trarne? Sicuramente negativo per quanto riguarda uno dei suoi fiori all’occhiello: vale a dire il cosiddetto sistema di “risarcimento diretto”. Tale riforma istituzionalizzò, come obbligo, ciò che esisteva anche prima come mera facoltà (e cioè la possibilità di rivolgersi alla propria compagnia per vedersi liquidati i danni in forza, e in virtù, della “convenzione di indennizzo diretto” introdotta nel 1978). La rivoluzionaria trovata portò a capovolgere il sistema classico della responsabilità civile automobilistica: a risarcire chi pativa il pregiudizio, in un sinistro stradale, non sarebbe più stata l’assicurazione del responsabile civile, ma quella dello stesso danneggiato.

Questo meccanismo (“a regime” dal 1° febbraio del 2007 per gli incidenti con due vetture, danni a cose e/o lesioni micro-permanenti) doveva costituire una svolta epocale. E invece si è rivelato una epocale operazione “mistificatoria” a danno proprio dei danneggiati. Per come venne presentato, esso avrebbe dovuto consentire a questi ultimi di “sentirsi a casa” nel momento in cui, dopo un sinistro, si sarebbero trovati ad interfacciarsi non più con una compagnia di assicurazione “avversaria” (quella della controparte, come avveniva tradizionalmente), ma con la propria. Come fai a non fidarti della “tua” assicurazione? Dovrebbe essere circostanza logica, nonché cosa buona e giusta, che l’impresa di assicurazione a cui si pagano i premi della polizza faccia, in primis, l’interesse del proprio cliente.

In realtà, dietro l’astuta operazione di marketing normativo, si celava una ben diversa verità. E non, si badi bene, per una sorta di perversa mala-intenzione dei gruppi operanti nel settore, quanto piuttosto per effetto collaterale di un problema che in Italia dovremmo conoscere bene, se non altro perché ne abbiamo parlato e discusso allo sfinimento durante tutto il cosiddetto ventennio berlusconiano. Mi riferisco al tema del conflitto di interessi.

Infatti, tra le due parti del rapporto (danneggiato e assicuratore dl responsabile civile) è sempre esistita, ed esisterà sempre, una ineludibile contrapposizione. Laddove il primo ha l’obbiettivo sacrosanto di veder riconosciuto il proprio diritto a ottenere un giusto (perché esaustivo e completo) risarcimento; mentre la compagnia ha l’interesse, legittimo ma specularmente contrario e confliggente, a pagare il meno possibile onde massimizzare il proprio profitto.

Pertanto, l’introduzione del sistema di cui stiamo parlando ha “contraffatto” una dinamica naturalmente conflittuale che, nel modello ordinario di risarcimento, è esplicita e alla luce del sole: il danno lo paga l’assicuratore della “controparte” che è – del tutto evidentemente e manifestamente – un contraddittore rispetto agli interessi, e ai diritti, del danneggiato. Un assetto, per così dire, meno “accattivante”, ma di indubbia trasparenza.

Le storture della riforma in questione non finiscono però qui. Essa ha anche cercato di limitare, se non di eludere del tutto, l’intervento dei patrocinatori del danneggiato in due modi ben precisi:

1) accollando sulle spalle delle agenzie assicurative il compito di “assistere” i propri clienti nella procedura di liquidazione, onerandole così di un compito, di un ruolo e di una serie di incombenze e competenze non “precipue” degli agenti, ma semmai di altri professionisti; oltre a metterle in una palese e imbarazzante situazione di (ulteriore) conflitto di interessi con gli assicurati (dovendo esse “mediare” tra le esigenze di risparmio dell’impresa e le istanze risarcitorie dell’assistito);

2) introducendo norme surreali come l’articolo 9 del D.p.r. 254/2006, che prevede di non pagare le spese di assistenza legale quando l’offerta dell’impresa sia accettata dal danneggiato medesimo.

Per non parlare di tutte le limitazioni, nell’ambito del danno materiale, imposte contrattualmente agli ignari contraenti al momento della sottoscrizione della polizza: dall’obbligo di installare una scatola nera a quello di portare l’auto nelle carrozzerie convenzionate con la compagnia alle franchigie applicate in caso di scelta autonoma di un carrozziere.

Venendo al dunque, se vi state chiedendo perché tutto ciò è accaduto, la risposta è molto semplice e risiede nella persuasiva attività di lobbying che le grandi corporation del business assicurativo sanno esercitare nei confronti del nostro legislatore (a tacer del fatto che esse detengono circa il 10% dei titoli del debito pubblico italiano). Ed è la ragione per cui ogni riforma del settore negli ultimi vent’anni è sempre stata, o quasi, tutt’altro che ostile agli oligopolisti del settore.

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